“Cura cara: la sospendo”

Cure, costi, cancro. Un accostamento che dai primi giorni di ottobre sta alimentando molte discussioni. La vicenda è nota: sembra che in una clinica di Palermo siano stati sospesi i trattamenti chemioterapici a malati di cancro perché troppo costosi. E’ solo la punta dell’iceberg. In una sanità siffatta ci si deve aspettare questo e non solo. Non molti mesi fa furono i giudici, con la sentenza della Cassazione n. 8254 del 2 marzo, a ribadire la responsabilità di un medico accusato di omicidio colposo per aver mandato a casa un paziente prima del tempo. Si parlava, allora, di una tempistica stabilita dall’amministrazione ospedaliera, basata sulle c.d. linee guida, ovvero consigli non scientificamente validati, che poggiano le proprie asserzioni sulla consuetudine.
Una vera e propria common law assistenziale, con la differenza che in questo caso si tratta di un diritto inalienabile e imprescrittibile come la salute, collegato alla vita degli individui che, come stabilito dalla sentenza in oggetto “si eleva così al di sopra di qualsiasi interesse economico”. Queste parole sembra provochino l’orticaria a molti dei nostri governanti e amministratori, sostenitori dell’aziendalismo, giacobini del perseguimento della economicità di gestione, cinici pragmatici della quadratura dei bilanci.
Per fortuna si fa strada un movimento, sempre più nutrito, dei fautori dell’umanizzazione delle cure, del rispetto della persona, dell’assistenza a tutto tondo indipendentemente dai problemi di deficit insanabile. Ministeri dell’Economia e della Salute in primis, Asl, aziende ospedaliere e regioni in seconda battuta si trovano così di fronte a un bivio. Siamo arrivati al capolinea e dobbiamo studiare un nuovo percorso, imboccare la strada migliore per arrivare a destinazione. Nel clima da 8 settembre che si respira in questo periodo nelle strutture sanitarie, si sta diffondendo la convinzione che la Resistenza della sanità passi attraverso un nuovo modello di gestione. Non se ne conoscono bene i contenuti però si sa che occorre ridiscutere gli errori passati concertando le scelte future tutti insieme.
Non più legati a defatiganti tavoli tecnici che, secondo gli umori elargiscono questa o quella cifra – palliativo per un attimo – per poi tornare, come scolaretti in attesa di un buon voto, a mendicare lo sblocco dei fondi dall’esecutivo. L’introduzione del federalismo e la standardizzazione graduale dei costi, consentirà agli enti locali di gestire maggiori risorse. La palla dunque passa alle regioni. Con la speranza che quelle virtuose possano essere d’esempio a quelle che virtuose non sono state mai.

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