“Il pronto soccorso visto da noi”

Del pronto soccorso si narrano sempre le esperienze negative: attese interminabili, promiscuità, mancanza di privacy, assenza di comunicazione. Qualcuno però, nonostante le avverse condizioni di ricovero, ha voluto evidenziare altri aspetti, mettendosi dalla parte di chi assiste e, nel convegno dello scorso novembre “Il Dipartimento di emergenza e accettazione del San Camillo Forlanini tra ospedale e territorio”, ha lasciato una sua testimonianza che evidenzia aspetti poco conosciuti.
“Al mio risveglio, dopo alcuni giorni dall’incidente di luglio, ero privo di dolori e in uno stato di totale confusione”. Inizia così il racconto del capitano Pasquale Savino, poli traumatizzato trasferito al San Camillo dall’ospedale Grassi di Ostia. “Mi sentivo totalmente dipendente da un gruppo di sconosciuti. Mi era di grande conforto la vicinanza dei miei cari e la tranquillità trasmessa dagli infermieri: davo di matto ma loro si occupavano di me con abnegazione”. E Gabriele Starascia, docente all’Università “La Sapienza” di Roma: “sono stato molte ore in attesa, i medici si sono prodigati e per me era normale stazionare su una lettiga. Ho apprezzato l’umanità nei confronti di noi malati, deboli e fragili. Oltre al soccorso medico, in questi casi, è importante anche quello psicologico”. Rossella Migliorati, al capezzale del marito colpito da ictus cerebrale, ha avuto sempre “la consapevolezza di trovarsi nel posto giusto al momento giusto”. Per capire il pronto soccorso bisogna toccare con mano, osservare le dinamiche interne. Il quadro è complesso, le difficoltà enormi e quasi mai si arriva con la lucidità giusta.

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