Accreditamento sanitario… indietro tutta

Nonostante l’ottimismo della governatrice Renata Polverini e le rassicurazioni del ministero per i rapporti con le Regioni, il ricorso presentato contro la legge per l’accreditamento delle strutture sanitarie dallo stesso dicastero – con delibera di impugnativa del 16 giugno – avverso la legge n. 6, approvata lo scorso 22 aprile  alla Pisana, pesa come un macigno sul piano di rientro. Perno centrale della riorganizzazione della rete assistenziale, la messa in regola dei privati subisce così uno stop fino alla modifica della legge che, stando ai numerosi e argomentati rilievi giuridici, non dovrebbe essere immediata. Vediamo, nel dettaglio, su cosa si concentrerebbe l’attenzione dei ricorrenti di parte governativa. Asserzione cardine delle puntigliose argomentazioni tecniche sarebbe quella secondo cui  «Il legislatore regionale, disciplinando in modo non conforme ai principi fondamentali stabiliti dalla normativa statale in materia di tutela della salute, viola l’art.117, comma 3 della Costituzione». In sintesi, i commi 4, 5, 6, 7, 8, 9,13 dell’articolo 1 della normativa regionale prevedono per le strutture sanitarie una sorta di salvacondotto per l’esercizio delle attività, mettendo al centro dell’iter autorizzativo le Asl in luogo della stessa Regione, prolungando sine die il regime di accreditamento provvisorio anche nel caso di “incolpevole non presentazione della domanda di conferma di accreditamento definitivo o presentazione in modo incompleto”, basta sistemare il tutto o integrare entro 15 giorni dall’entrata in vigore della legge…. Secondo il ministero non è poi legittimo che la disciplina regionale consenta ai privati “di continuare a operare in regime di accreditamento provvisorio in assenza dei requisiti di legge e in attesa dell’eventuale successiva acquisizione”. Per non parlare dei posti letto riconvertiti o delle nuove attività intraprese, che “possono continuare a esercitare in presenza dei requisiti minimi previsti in sede di accreditamento provvisorio”. Il tutto senza che sia fissato, dalla legge n.6/11 un termine perentorio per la messa in regola, come previsto invece da leggi statali. Insomma il potere centrale non rinuncia alle sue prerogative e ribadisce che nelle materie di c.d. legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Insomma, la legge n. 6/2011, al di là di polemiche e speculazioni politiche, si è rivelata un ulteriore pasticcio giuridico e burocratico sulla accidentata strada della riorganizzazione della sanità regionale.

 

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