Veneto e Lazio, due regioni apparentemente lontane, spesso unite da sottili, impercettibili legami. L’ultimo episodio che ha dato vita a una piacevole liason tra i due territori è legato a un cognome che non ha bisogno di presentazioni: Baglioni. Si tratta di Giovanni Baglioni, figlio d’arte che non ha smentito le potenzialità della genetica, come uno dei nomi più interessanti e originali nel panorama della chitarra acustica solista contemporanea. Per questo doveva partecipare al Festival “Cremona Musica”, manifestazione internazionale dedicata agli strumenti musicali d’alta gamma ma ha dovuto rinunciare a causa di un malore dovuto a un calcolo renale. Per il ricovero il musicista ha scelto l’ospedale Giovanni Paolo I di Agordo, comune di origine dei nonni materni e non ha mancato di esprimere sui social la gratitudine per l’umanità degli operatori e la qualità delle cure ricevute, innescando un gradevole dialogo a distanza con il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, che ha prontamente colto l’occasione per ringraziare e sottolineare “la professionalità dei sanitari agordini” a cui “un personaggio di questa caratura” si è rivolto, preferendo scegliere il nosocomio “di una piccola cittadina della montagna veneta” piuttosto che “una struttura fatta da nomi altisonanti di una grande città”. Un motivo di orgoglio in più per il governatore, che ha sottolineato gli antichi legami che legano la città del bellunese alla famiglia romana di Claudio Baglioni, tanto che il cantautore nel 1974 ad Agordo dedicò una canzone con un testo che trasuda umanità e gioia di vivere. “Ad Agordo è cosi”…così come è consuetudine per i sanitari, accogliere con umanità e curare con competenza chiunque si rivolga al presidio “non in virtù del cognome del paziente o delle famose note della sua chitarra – scrive ancora il governatore nel suo comunicato – sento di affermarlo perché conosco bene le persone che ogni giorno si impegnano per mantenere la sanità veneta al livello che ne fa uno dei modelli migliori nel panorama nazionale. Ne conosco la dedizione, il valore professionale e la preparazione; non solo dal punto di vista strettamente sanitario ma anche da quello umano”. Parole da cui trasuda il giusto orgoglio per questo “esercito di 59mila persone” che danno una “bella immagine di quanto il servizio pubblico, anche nella realtà di un territorio montano affascinante e complesso, vanti professionisti di prim’ordine”. Una immagine che ribalta i quotidiani e tristi episodi di cronaca, in cui i sanitari sono vittime di violenze, insulti e aggressioni.

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