Una possibilità in più nella lotta all’Alzheimer: una diagnosi precoce e mirata, da formulare ai primi segni di deterioramento cognitivo. Si tratta delle nuove “linee guida per la diagnosi dei disturbi cognitivi” illustrate nell’ultimo numero dell’autorevole rivista scientifica The Lancet Neurology, che rappresentano un valore aggiunto, consentendo alle strutture sanitarie di procedere a indagini più razionali ed essere più precisi nella individuazione e classificazione della patologia insorgente, sia che si tratti dell’invalidante morbo o di qualsiasi altra forma di demenza. Sono le prime raccomandazioni che propongono un uso combinato dei biomarcatori, realizzate dagli esperti delle maggiori società scientifiche in Europa. La sorpresa arriva dalla massiccia presenza di ricercatori italiani, che insieme ai colleghi dell’Università di Ginevra, coordinano la ricerca. Insieme agli svizzeri, troviamo l’Università di Genova-Policlinico San Martino Irccs e l’omologo istituto di ricovero e cura a carattere scientifico San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia. Proprio la Lombardia si caratterizza come regione che ha anticipato tali linee guida, con appositi investimenti, sperimentando i cosiddetti “percorsi diagnostico terapeutici assistenziali” (Pdta). E ora si pensa di adeguare tale sperimentazione a tutto il contesto Ue. “Una omogeneizzazione delle procedure a livello europeo è importante, perché consentirà di avere una maggior confrontabilità nelle diagnosi cliniche di diversi paesi” spiega Cristina Geroldi, geriatra dell’Irccs Fatebenefratelli. Per quanto attiene agli esami messi in campo si precisa che, per la prima volta, le raccomandazioni – implementabili in ogni centro specializzato (CdCd) – non sono centrate sulla malattia, ma sul paziente e i suoi sintomi. A partire da undici diverse modalità con cui si presenta un deterioramento cognitivo, in quattro passi successivi e con test differenti a seconda del profilo del singolo paziente, si potrà individuare la patologia responsabile in tempi più rapidi e con minori sprechi di risorse. Si utilizzeranno oltre ad analisi del sangue, test cognitivi, risonanza magnetica o Tac e in alcuni casi elettroencefalogramma, ma anche l’analisi di specifici marcatori nel liquido cerebrospinale, Pet o Spect di differenti tipologie, scintigrafie e similari. Quando sarà possibile associare l’utilizzo di biomarcatori rilevabili nel sangue, l’iter potrà ridurre fino al 70% gli esami strumentali inutili. In perfetto allineamento con le attuali tendenze di economia aziendale, che coniuga la razionalizzazione delle procedure all’equilibrio di bilancio delle aziende sanitarie e ospedaliere. (Agronline)

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