Chissà se è la volta buona. Scoperto da gruppi di ricerca italiani un nuovo gene che sarebbe alla base dell’insorgenza dell’Alzheimer. Il risultato è frutto della collaborazione di ricercatori italiani delle Università di Torino, Milano, Pavia, impegnati da anni nello studio delle cause genetiche della malattia e capofila dello studio è l’ospedale Molinette, afferente alla Città della Salute della città sabauda. La scoperta è stata ufficializzata con la pubblicazione sulla rivista scientifica internazionale Alzheimer’s Research & Therapy. Lo studio, coordinato da Elisa Rubino, si concentra sul “ruolo di rare mutazioni genetiche come causa della malattia in età senile”, spiega il direttore del Centro Alzheimer dell’ospedale Innocenzo Rainero, docente all’Università di Torino. L’Alzheimer è una delle forme di demenza più diffuse: si stima che, in tutto il mondo, ne siano affette 18 milioni di persone, di cui circa 700mila solo in Italia. Nel Lazio si stimano circa 100mila casi, con diagnosi di demenza lieve, moderata e grave, a cui si aggiungono circa 70mila casi stimati di soggetti con lieve deterioramento cognitivo, che necessitano di approfondimento e monitoraggio presso i servizi dedicati. Il numero di persone affette da demenza è destinato a triplicarsi entro il 2050 e la prima preoccupazione della comunità scientifica è sfidare lo stigma sulla demenza, promuovendo una migliore comprensione per affrontare la patologia, al fine di facilitare l’impegno delle famiglie e consentire una maggiore accettazione da parte della società. Proprio una famiglia italiana è stata l’oggetto di studio dei ricercatori coordinati dalla Città della Salute. Per anni è stato esaminato l’esordio senile dei componenti, scoprendo che l’insorgere della patologia è causato da mutazioni nel gene Grin2c. Il risultato è stato reso possibile grazie all’utilizzo di avanzate tecniche di genetica molecolare e alla collaborazione con Elisa Giorgio del dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Pavia e con Alfredo Brusco del dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino. Inoltre, grazie a Fabrizio Gardoni del dipartimento di Farmacologia e Scienze biomolecolari dell’Università di Milano, è stato possibile dimostrare gli effetti che questa mutazione provoca in modelli cellulari incrementando l’eccitabilità neuronale ed alterando il legame di questa proteina con altre proteine neuronali. (Nella foto: “Sulla soglia dell’eternità”, Vincent Van Gogh 1890, Museo Kröller-Müller di Otterlo)

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