Anagni: tutti contro la chiusura del punto di primo intervento. Raccolta di firme e ricorso

Ė una levata di scudi generale: la chiusura del punto di primo intervento di Anagni ha avuto il merito di mettere d’accordo tutti. Sindaci, cittadini, operatori chiedono all’unisono alla Regione Lazio di ripristinare il servizio di prima emergenza onde evitare rischi per la collettività. Un epilogo tragico di tale chiusura si è già avuto nella città dei Papi. Pochi giorni fa una sessantaduenne è morta per lo choc anafilattico provocato dalla puntura di un calabrone, senza poter essere assistita secondo i previsti protocolli medici che si attivano in pronto soccorso. Poco chiara anche l’informazione ai residenti che per casi gravi debbono ricorrere all’ospedale di Alatri, non proprio dietro l’angolo ma a 28 chilometri e 35 minuti di percorrenza. Si mobilita anche Civis, associazione territoriale che ha chiesto l’intervento della Protezione civile per prevenire rischi in caso di incidente rilevante. E non accenna a placarsi la polemica politica. C’è chi chiama in causa il decreto numero 70 del 2015, regolamento del ministero della Salute sugli standard dei servizi di assistenza che stabilisce che le strutture “potranno rimodulare i posti letto, sulla base della domanda di salute, fermo restando il numero complessivo degli stessi”. Disposizione che la Regione Lazio ha interpretato in modo estensivo in un primo momento, per poi applicare alla lettera, con il taglio dei servizi, non appena ad Anagni è cambiata l’amministrazione comunale con l’insediamento di una maggioranza di centrodestra. Prossimo impegno: la raccolta di 50mila firme per una petizione popolare e il probabile ricorso al Tar promosso dai sindaci del frusinate.   

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