Professioni sanitarie: uno spettro si aggira in corsia, è il fantasma dell’assistente infermiere, figura partorita da un progetto di due anni fa, che ora sembra in dirittura d’arrivo, previa approvazione della Conferenza Stato-Regioni – organismo istituzionale con potestà deliberativa sulla sanità – dopo la stesura di due decreti in materia e il possibile ingresso di tale figura nella sanità pubblica e privata a fine 2025. Non si sono fatte attendere le reazioni dei sindacati. Per Michele Vannini, segretario nazionale Cgil Funzione pubblica “l’assistente infermiere è un passo indietro, figura ibrida creata senza aver mai ascoltato i sindacati, presumibilmente dovuta alla pressione dei datori di lavoro del privato accreditato e del settore socioassistenziale”. E viene immediatamente in mente la ristrutturazione della sanità territoriale, con centinaia di case e ospedali di comunità da riempire di personale attualmente non disponibile, che potrebbe essere rimpiazzato da questa figura “priva delle competenze e della formazione dell’infermiere laureato”, ripetono all’unisono i sindacalisti. A farne le spese sarebbe la qualità dell’assistenza, unita alla esiguità della retribuzione rispetto agli operatori in possesso di laurea, con una accentuazione delle condizioni di precarietà che vive la professione infermieristica. Rincara la dose Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato degli infermieri Nursing Up, che chiarisce come gli iniziali dubbi su tale figura, “dopo analisi e approfondimenti oggi più che mai, si sono trasformati in un perentorio giudizio negativo”. Va giù duro il rappresentante degli infermieri per cui, prima di parlare di introduzione di nuove figure, si dovrebbe procedere, sulla base di un documento presentato dalla stessa organizzazione, “a una necessaria revisione dei modelli organizzativi, cosa di cui le aziende sanitarie hanno bisogno come il pane”. Suscita perplessità anche l’accesso alla qualifica di assistente infermiere, tanto da far pensare a una “malcelata sanatoria”, considerata la possibilità inserita in una norma “scappatoia”, di assurgere alla qualifica da parte degli operatori sociosanitari (Oss) privi di titolo di istruzione secondaria superiore con la mera anzianità di servizio di cinque anni. “Anziché combattere la carenza di infermieri partendo dalla valorizzazione di chi si prodiga da anni sul campo – attacca De Palma – anziché arginare la fuga di colleghi all’estero ricreando le condizioni per convincere i giovani professionisti a restare, anziché ridonare capacità di attrazione a una professione che giorno dopo giorno perde i pezzi, si tende a dare risposte ai bisogni della collettività optando per un pericoloso e controproducente piano B”. Una sorta di ritorno a più di trenta anni fa, quando ancora in prevalenza nelle corsie agiva l’infermiere generico e stava per nascere la figura dell’operatore sociosanitario, fine anni Novanta. Una condizione che oggi non ha più alcun fondamento “e si rivela – conclude il presidente De Palma – come un malcelato tentativo di mescolare carte e competenze, in un contesto delicato come quello del Servizio sanitario nazionale, con effetti pericolosi di scadimento della qualità assistenziale”. Il dibattito è aperto e, sicuramente, assumerà toni sempre più accesi. (Agenpress)

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