Autonomia regionale e riflessi sulla salute
Le previsioni della riforma delle regioni per la sanità. Interviene la Fondazione di ricerca Gimbe
Veneto, Lombardia, Emilia Romagna: all’esame del governo il progetto di “autonomia differenziata”, prevista dall’articolo 116 della Costituzione, che dà più poteri alle regioni. E la piazza si infiamma manifestando il 15 febbraio sotto Montecitorio. Imposte locali trattenute sul territorio degli enti “virtuosi”, questo il succo della riforma, come negli stati federali. Dopo la pre-intesa col governo Gentiloni si va avanti. Secondo Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, fondazione per la ricerca e formazione sanitaria, “si rischia di approfondire il divario esistente con 21 sistemi sanitari disuguali che già differiscono nell’offerta di servizi e nei risultati in termini di salute dei cittadini”. C’è timore secondo i critici della riforma, di ledere il principio di uguaglianza tra le regioni e la coesione sociale del Paese, considerata la disparità di condizioni tra Nord e Sud. Sarebbero ridotti i contributi destinati ai territori in difficoltà, ripartiti ogni anno dalla Conferenza Stato-Regioni in sede di assegnazione del Fondo sanitario nazionale. Per il 2018 il riequilibrio dei fondi ha premiato Liguria e Campania sulla base, rispettivamente, dell’alto numero di anziani per la prima e di minori per l’altra. Il governatore Luca Zaia vuole allineare il ricco Veneto alle regioni a statuto speciale, con finanziamento del servizio sanitario gestito in autonomia dall’ente locale. Se da un lato molti contestano la “fine dello stato sociale che soccorre le regioni in difficoltà”, dall’altro il ministro per gli Affari regionali Erika Stefani aspira a una sanità “più efficiente, al controllo della spesa e la supervisione dei cittadini sull’operato degli amministratori”. In sintesi: una riforma trasversale che rischia ancora una volta di vedere contrapposti il produttivo Nord Italia e il resto del Paese.