Caos in pronto soccorso? Adottiamo reparti a “fisarmonica”
Da Luigi Zulli, lunga esperienza da medico dell’Emergenza, riceviamo e volentieri pubblichiamo:
La riforma della rete ospedaliera e dell’emergenza, con l’istituzione dell’Ares 118, all’avvento dell’anno giubilare 2000 sembrava essere soprattutto nel Lazio, la panacea di problemi presenti da anni.
Ci si preoccupava della vera emergenza, legata alla tempestività e precocità degli interventi per patologie acute cardiovascolari e cerebrovascolari, oppure al rapido inquadramento e isolamento di patologie infettive emergenti a facile diffusione quali Sars e Sindrome Aviaria. Parimenti, si producevano ingenti sforzi per far fronte alle maxiemergenze legate al terrorismo.
A tutto ciò non faceva riscontro pari sforzo e nulla si faceva e si fa per risolvere i problemi veri della sanità, primo fra tutti l’iperafflusso nei pronto soccorso, con cause e concause ad esso legate, primo fra tutti il progressivo invecchiamento della popolazione e, in secundis, la cronica mancanza di posti letto per acuti e post-acuti. È deprimente constatare che non si riesca a correggere alcuni problemi ormai atavici, nell’ambito della sanità romana e del Lazio. Le soluzioni finora adottate, improntate al risparmio secondo la politica della spendingreview, hanno portato a continui tagli di posti letto con riduzione di personale e di risorse.
Nessuno è ancora riuscito a programmare ed effettuare una vera e propria riconversione degli ospedali e una idonea collocazione degli operatori, con altrettanto idonea attribuzione delle risorse all’interno delle strutture, evitando sprechi e “ruberie”. Sono ancora pochissimi gli istituti che hanno avviato un processo di riforma ma, come ben sappiamo, privilegi acquisiti nel tempo sono difficili da smontare e il peso rimane su quegli operatori che sono in prima linea, schiacciati in un imbuto, creato dalla mancanza di filtro agli accessi ospedalieri per le note carenze della medicina di base ed extraospedaliera in senso lato. Soprattutto, influisce la cronica carenza di posti letto, che nonostante i Drg (raggruppamenti omogenei di diagnosi, ndr) e le regole sui giorni di degenza per patologia, rimane ancora una nota dolente per le corsie di ospedale, legato alla difficoltà di dimettere un malato – in fase di post acuzie – che ha risolto i suoi problemi acuti ma non è ancora i grado di tornare a domicilio.
Di chi la colpa di tutto questo? Di tutti: direttori generali e sanitari, primari medici di reparto che non vogliono rendersi conto che le corsie ospedaliere non possono più essere a numero di letti fisso, ma come una “fisarmonica”: debbono allargare e restringere il numero di letti per adeguare la capienza alle necessità contingenti di quel preciso momento.