Ė una manifestazione colorata e rumorosa, quella che i dipendenti dell’ospedale Israelitico hanno organizzato il 10 luglio, con l’appoggio dei sindacati confederali, sull’Isola Tiberina di fronte alla sede dei poliambulatori. C’è il rinnovo contrattuale del comparto pubblico che non arriva, quello relativo al triennio 2019-2021 e i dipendenti, considerata la crisi aziendale, temono per il proprio futuro. Alle rivendicazioni la direzione ha risposto con un duro comunicato, con cui stigmatizza il linguaggio dei sindacalisti. “Siamo profondamente rammaricati dalle parole dei sindacati” è scritto nella nota firmata dal direttore generale Roberto Cupellaro. “Stiamo facendo del nostro meglio per trovare soluzioni alternative” incalza l’ingegnere, spiegando che sarà assicurata l’applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro della sanità privata, senza in alcun modo incidere sulle retribuzioni ora percepite. Le frizioni nascono dalla difficile situazione da cui è venuta fuori la struttura. Tra i primi nosocomi della Capitale a essere convertito in presidio Covid, l’ospedale – spiega la direzione – si è messo da subito a disposizione del Servizio sanitario regionale durante la fase emergenziale è ciò ha rappresentato una dura prova. La pandemia ha comportato sfide senza precedenti – è scritto nella nota aziendale – che hanno avuto un impatto significativo sulle operazioni e sul bilancio del nosocomio ebraico.  Fin dall’inizio della pandemia, l’ospedale ha adottato misure rigorose per garantire la salute e la sicurezza dei dipendenti, dei pazienti e di tutti gli operatori. Oltre al mancato introito dovuto alla chiusura dei presidi ambulatoriali e alla sospensione dell’attività privata dell’ente, abbiamo dovuto sostenere spese straordinarie per assicurare la protezione individuale del personale e dei pazienti – chiarisce la nota – l’implementazione di protocolli di igiene avanzati e la messa in atto di nuove misure dall’elevato standard di sicurezza al fine di tutelare la salute dei presenti. Ente senza finalità di lucro e con lo scopo di assicurare e promuovere la salute al servizio dei cittadini tutti, desideriamo fare chiarezza su quanto dichiarato dai sindacati in questi giorni: in primis, è bene ricordare che il rapporto di lavoro del personale non medico è sempre stato disciplinato attraverso un contratto collettivo di lavoro di primo livello, che recepisce in larga parte le previsioni del Ccnl del comparto del Servizio sanitario nazionale. Nonostante tale contratto collettivo aziendale sia scaduto da tempo, l’ospedale ha comunque riconosciuto al personale l’applicazione dei diversi rinnovi economici intervenuti per il comparto pubblico. Il recepimento dell’ultimo rinnovo economico del Servizio sanitario nazionale comporterebbe, tuttavia, un incremento elevato dei costi per l’ospedale, ragione per la quale, prima di accordare alle organizzazioni sindacali e al personale il recepimento dell’ultimo rinnovo e tenuto conto della situazione economico-finanziaria dell’ente, si è resa necessaria una preventiva valutazione delle possibili alternative al fine di contenere i costi. Così si pensa di applicare i contratti collettivi di lavoro della sanità privata, considerata la natura giuridica dell’ente che afferisce all’Aris, associazione religiosa istituti sociosanitari. Ma i lavoratori non ci stanno, non si sentono rassicurati circa le loro retribuzioni, nonostante la volontà dei vertici che si sono dichiarati aperti al dialogo, attraverso un “accordo di armonizzazione che disciplini il passaggio al nuovo contratto, garantendo al personale le migliori condizioni possibili”. Seguiremo tutti gli sviluppi della vertenza. (Agenpress)

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