Comunicatore sanitario, professione da apprendere

comunicazione_sanitariaContinua il nostro viaggio nella comunicazione sanitaria, con l’analisi sul consenso informato

di Pieluigi Guiducci*

Diversi autori hanno evidenziato due distinte dimensioni nella comunicazione umana: da un lato il contenuto, ciò che le parole dicono, dall’altro la relazione: quello che i parlanti lasciano intendere, a livello verbale e più spesso non verbale, sulla qualità della relazione che intercorre tra loro. Queste due dimensioni devono essere tenute in considerazione nell’implementazione dei programmi di comunicazione. Non si può comunicare se non nell’ambito di una relazione inter-personale. L’informazione, per diventare comunicazione, deve realizzarsi all’interno di una relazione che tiene conto degli aspetti emotivi e affettivi delle persone. La comunicazione ha una duplice dimensione: quella socio-affettiva e quella cognitiva. All’interno della prima nasce l’esigenza che ciascun malato sia aiutato a “leggere” la propria esperienza di malattia e a raccontarla agli altri realizzando così una dimensione terapeutica di grande rilievo.

Il paziente è così motivato e valorizzato e, condividendo con gli altri la propria storia, contribuisce a creare il patrimonio della comunità terapeutica. L’informazione è uno dei tre supporti sui quali si costruisce il consenso informato; gli altri due sono la capacità (competence) e la libertà (freedom) del paziente di assumere le decisioni in merito alle cure. La comunicazione relativa al consenso informato, è influenzata da vari fattori che così si possono raggruppare: a) in quelli relativi all’utente/paziente; b) in quelli relativi all’operatore sanitario; c) in quelli sociali. Tra i primi vanno ricordati, oltre ai già menzionati grado di scolarizzazione e livello culturale, anche il fatto che l’impatto emotivo e la capacità di elaborazione dell’informazione, per esempio di una malattia, differiscono tra i vari individui in virtù del vissuto e del complesso delle relazioni di ciascuno. Tra i fattori che influenzano negativamente la comunicazione, imputabili al personale sanitario, si possono ricordare: a) la scarsa o inesistente conoscenza delle tecniche comunicative; b) la difficoltà della gestione delle proprie emozioni; c) il timore di comunicare i limiti della prestazione sanitaria; d) i comportamenti difensivi che portano ad ignorare le domande dell’utente. I pazienti sono spesso insoddisfatti dei contatti con il mondo sanitario per la propensione degli operatori sanitari: a) a eludere qualsiasi forma di dialogo; b) a non accettare gli interrogativi che gli vengono posti; a essere distratti quando parlano con i pazienti; d) a impiegare un linguaggio poco comprensibile, perché troppo specialistico. Dalle più recenti ricerche risulta che più della metà dei pazienti non comprende ciò che gli viene detto e che almeno la metà delle informazioni veicolate al paziente, sono presto dimenticate. Altri dati attestano che il tempo a disposizione del paziente per parlare, senza essere interrotto dal medico, è in media di 18 secondi e che solo il 23% dei pazienti riesce a portare a termine i quesiti che formula. Tra i fattori sociali che ostacolano la comunicazione sanitaria, pur in presenza di alte aspettative, vi è una diffusa sfiducia verso gli operatori sanitari, che viene alimentata dagli episodi di “malasanità” riportati dai media. In tempi meno recenti le conoscenze mediche erano limitate e i rimedi, sovente, inefficaci. Paradossalmente però, essere medico era più semplice, perché l’insuccesso si collocava spontaneamente tra i limiti della medicina e nella natura. Oggi, con l’aumento esponenziale delle conoscenze, è più difficile lavorare in area medica: nei pazienti è aumentato lo spazio di scelta (con conseguente forte autonomia), e si è alzata di livello la cautela verso l’agire degli operatori sanitari (l’insuccesso è posto nel limite della prestazione di quello specifico professionista).

*Centro Studi Asl Roma A

– continua –

 

Commenti Facebook:

Commenti