Coronavirus: il risultato di tre ricercatrici dell’Istituto Spallanzani, che nel 2018 ha istituito il premio “Scienza Madre”
LO SPALLANZANI E LE DONNE, UN VALORE AGGIUNTO DA RICONOSCERE E POTENZIARE
Potrebbe sembrare profetico ma nel 2018 presso l’Istituto per le malattie infettive (Inmi) “Lazzaro Spallanzani” fu istituito il premio “Scienza Madre” dedicato alla ricerca tutta al femminile, per riconoscere e rendere omaggio, ogni anno, al grande apporto delle donne nel settore. Un premio fortemente sostenuto dal direttore generale Marta Branca, che oggi ottiene la sua consacrazione con il risultato raggiunto dalle biologhe del laboratorio di virologia che, prime in Europa, hanno isolato il Coronavirus con la possibilità di studiarlo con più accuratezza e prevenire il diffondersi del contagio. Comprensibile la soddisfazione espressa a tutti i livelli: dal governo ai vertici dell’istituto, passando per la comunità scientifica e la regione Lazio. Il duro e produttivo impegno del direttore del laboratorio Maria Rosaria Capobianchi, Francesca Colavita e Concetta Castilletti, permetterà nuove possibilità di cura grazie alla collaborazione tra ricercatori. Nel mondo, soltanto i centri di ricerca cinesi e australiani sono riusciti in analogo obiettivo; in Francia l’Istituto Pasteur ci sta lavorando. L’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Spallanzani non è nuovo a risultati di rilievo. Il 2 gennaio 2015 il medico infettivologo siciliano Fabrizio Pulvirenti, ricoverato all’Inmi per Ebola, fu dichiarato “Virus-free” e dimesso in ottime condizioni generali, grazie alle cure dei sanitari del nosocomio che, dal 1936 anno della sua fondazione, ha raggiunto traguardi impensabili in campo scientifico e assistenziale.
LO SPALLANZANI NELLA STORIA: DA “LAZZARETTO” A CENTRO DI RIFERIMENTO INTERNAZIONALE
Ente di riferimento nazionale e internazionale per la prevenzione, la cura e lo studio di patologie quali l’infezione da Hiv, l’Aids, le epatiti virali, la Tbc, la meningite, l’Ebola, la Zika, la Chikungunya, nel tempo si è imposto come centro di eccellenza per la ricerca nel campo, acquisendo un posto di primo piano nella comunità scientifica nazionale e internazionale. Tanto da ottenere il riconoscimento dall’Organizzazione Mondiale della Sanità di centro collaboratore per la gestione clinica, la diagnosi, la risposta e la formazione sulle malattie ad alta contagiosità. Durante il Giubileo gli fu affidato dalla regione il piano di sorveglianza per le malattie infettive ma è dal 1970, con l’epidemia di colera che l’Istituto inizia ad agire ad ampio spettro contro le patologie contagiose. Nel secolo scorso molti romani lo avevano appellato “Il Lazzaretto” e lo guardavano da lontano con diffidenza. Negli anni Ottanta epatiti, salmonella, Aids fanno registrare un cospicuo numero di ricoveri ma è nel 1991 il salto di qualità, con la realizzazione del nuovo ospedale – edificio avveniristico per l’epoca, che richiama una stazione ferroviaria – per rispondere alle accresciute esigenze di ricovero, di comfort per i pazienti, di sicurezza per il personale di assistenza. Nel 1996 si assiste a un cambio dell’assetto gestionale: da azienda ospedaliera diventa ente autonomo con decreto del ministero della Sanità che lo individua quale Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs); da qui inizia un cammino costellato di successi e riconoscimenti. Fu Guido Bertolaso, nominato commissario dall’allora ministro della Sanità Elio Guzzanti, a lanciare l’idea di un super ospedale pronto a tutte le sfide “l’Hilton della sanità regionale”, lo definì il volitivo medico, specializzato in malattie tropicali e nominato per gestire il “non facile divorzio dall’attiguo San Camillo”, di cui faceva parte in un’unica azienda insieme al Forlanini, oggi chiuso e rimasto inutilizzato. Successivamente (2001-2003) il dicastero di lungotevere Ripa ha identificato lo Spallanzani quale polo nazionale di riferimento per il bioterrorismo, e polo nazionale di riferimento per la Sindrome respiratoria acuta grave (Sars).
LO SPALLANZANI LE CURE, LA SICUREZZA: DAL POLO TRAPIANTI AL BIOTERRORISMO
I 134 mila metri quadrati dell’Istituto racchiudono numerose eccellenze: l’unico laboratorio italiano di livello di biosicurezza 4 e cinque laboratori di livello 3; una banca criogenica che può ospitare fino a 20 contenitori di azoto liquido e 28 contenitori a -80° C, dotata di un laboratorio di livello 3 per la manipolazione e la preparazione dei campioni da congelare. Con la delibera della giunta regionale del Lazio numero 159 del 2007 è stato istituito il “Polo Ospedaliero Interaziendale Trapianti (Poit)” struttura integrata con la vicina azienda ospedaliera San Camillo, deputata ai trapianti di pancreas, fegato e rene; l’Inmi dispone inoltre di un servizio di rianimazione, terapia intensiva e sub-intensiva; un centro di riferimento per le infezioni nei trapianti; una Banca biologica per il deposito di organi e tessuti destinati al trapianto. Nel 2014 la Regione Lazio ha riconosciuto l’Istituto “Servizio regionale di epidemiologia, sorveglianza e controllo per le malattie infettive” (Seresmi); attualmente è organizzato in 4 dipartimenti clinico-diagnostici, ambulatori protetti e ambulatori domiciliari per il contrasto alle malattie infettive: Aids,Tbc e Malaria, che assistono 15 mila pazienti. Sono frequenti i rapporti con numerosi Paesi dell’Unione Europea, con gli Stati Uniti, con altri continenti, al fine di collaborare nella ricerca più avanzata.