Covid 19, continuano le follie legate ad ataviche paure che credevamo superate. E a farne le spese sono i più fragili, in questo caso i malati. Ciò che sotto il torrido sole del 1° agosto è capitato a Vanda, la chiameremo così, ha dell’inverosimile. Come spesso accade alle persone anziane, la 92enne viene ricoverata in un grande ospedale romano per la frattura del femore. Tutto procede in modo ineccepibile: operata nei termini previsti da protocollo lunedì 29 luglio, dopo tre giorni di degenza ne viene stabilito il trasferimento in una vicina struttura riabilitativa, con l’esecuzione di tutti gli esami di prammatica previsti dalle disposizioni sanitarie, tra cui il tampone anti Covid che risulta negativo. Stesso responso Vanda non lo ottiene dal test ripetuto nella struttura accreditata in fase di accettazione, in cui arriva dopo uno stressante trasporto in ambulanza più o meno dieci minuti dopo aver lasciato l’ortopedia dell’ospedale di primo ricovero. A quel punto accade l’inverosimile: la paziente viene respinta dal centro riabilitativo che non può accettare pazienti Covid positivi (o presunti tali) né viene ripetuto il test per acquisire maggiore sicurezza, considerata la discrasia nei risultati tra le due strutture. Viene da chiedersi come mai la blasonata clinica di un noto imprenditore sanitario non abbia stanze per l’isolamento, così Vanda viene rispedita nel primo ospedale che, contestualmente, ha già occupato il posto letto, lasciando la paziente in barella, quasi fosse un pacco postale. Anche in questo caso, viene da chiedersi come mai, prima di destinare il letto ad altri, non si attenda il nulla osta all’accettazione da parte dell’altra struttura ma forse si tratta di prassi di buonsenso troppo difficili da osservare, nella straziata sanità del Lazio. Prima che venga assunta qualsiasi decisione, Vanda trascorre almeno due ore “appoggiata” nella medicheria del reparto di ortopedia dove è stata riaccompagnata dagli addetti all’ambulanza, anche questi bloccati insieme alla sfortunata signora. Ha bisogno dell’ossigeno ma deve rinunciare perché nessuno l’assiste, salvo poi essere aiutata da un infermiere amico di un altro reparto, che casualmente si rende conto della situazione. Non le vengono somministrate le terapie a cui deve sottoporsi in orari prestabiliti e, soprattutto, non c’è nessuno che riesca a dipanare una matassa resa complessa da – ci permettiamo di dire – ottuse e anacronistiche disposizioni che andrebbero immediatamente rivisitate, in considerazione delle attuali evidenze epidemiologiche. Infine, dopo aver sollevato il caso con veemenza ai responsabili della direzione ospedaliera, il letto finalmente viene fuori. Ma quanta sofferenza ha dovuto sopportare l’anziana donna? Sarebbe opportuno che, tra le varie incombenze legate a una sanità ridotta in brandelli, la Regione Lazio fornisse chiare direttive in merito. Non può essere, l’altalenante risultato di un tampone a trasformare un malato in un pacco postale.

Commenti Facebook:

Commenti