Cto, non si sa dove mettere le mani
Da più di 50 anni è punto di riferimento per il centro-sud Italia per le patologie orto traumatologiche e, nonostante i recenti tagli di posti letto e servizi continua ad attrarre pazienti affetti da gravi patologie. Il Centro traumatologico ortopedico intitolato ad Andrea Alesini, direttore rimpianto e mai dimenticato continua a perdere pezzi ma non demorde. Due anni fa si è visto tagliare uno dei più prestigiosi reparti, la chirurgia della mano e reimpianto di arti, che eseguiva 1500 interventi l’anno. Per tale specialità trasferita al San Camillo, non è stata diramata alcuna disposizione ufficiale al 118 i cui operatori continuano a trasportare i feriti all’ospedale della Garbatella. Paradossi della politica dei tagli. La struttura gode di altissime specializzazioni. I cinque reparti ortopedici – Traumatologia 1 e 2, le due ortopedie e la chirurgia del piede, unica del centro sud in ospedale pubblico con il 30% di pazienti extra regionali – hanno eseguito nell’ultimo anno 4000 interventi. Di particolare rilievo la chirurgia percutanea dell’alluce valgo, per cui è centro di riferimento nazionale e le triplici atìrtrodesi (trattamento chirurgico per fissare un’articolazione mobile, ndr.) nonché la protesizzazione dell’anca per via mininvasiva anteriore, che consente il recupero in seconda giornata dall’operazione e per cui è centro pilota italiano. Sono presenti inoltre strutture superspecialistiche di chirurgia della spalla e del gomito, del ginocchio, l’ortopedia dell’anziano, la traumatologia del lavoro che attraggono ortopedici da tutta Italia per giornate di insegnamento teorico e pratico, così come gli specializzandi dell’’università “La Sapienza” di Roma. È attiva l’unità spinale unipolare più grande d’Italia, che attualmente segue 16 pazienti para e tetraplegici assistiti nella fase acuta dopo il trattamento chirurgico. Il decreto 80 del 2010 prevede 32 posti letto per tale patologia – su 135 complessivi – ma il mancato rispetto delle disposizioni non si esaurisce qui. I reparti presenti – Urologia, Chirurgia 1 e 2, Neurochirurgia, Cardiologia, Chirurgia plastica e vascolare, Diabetologia, Reumatologia, Riabilitazione, Radiologia Anestesia e Rianimazione, richiederebbero un potenziamento dell’emergenza che invece viene costantemente depauperata. L’indice di case mix (indicatore di difficoltà dei casi trattati) è pari o superiore alla media regionale, in particolare emerge quello legato alle fratture collo femore entro le 48 ore dal ricovero – standard indicato come ottimale dal decreto regionale 613/2009 – pari al 79% del totale trattato in un anno che pone il Cto al secondo posto tra gli ospedali del Lazio. Per gli esterni, l’ospedale ha fornito lo scorso anno 176.000 prestazioni ambulatoriali e per celebrare 70 anni di eccellenza – il primo centro fu inaugurato dall’Inail nel 1942 al Salario – è stata allestita una mostra fotografica.
Roberto De Santis, ortopedico, segretario della Uil medici aziendale contesta il decreto
A chi giova la chiusura?
A pensar male… È duro il giudizio di Roberto De Santis sull’attivismo dei privati che gestiscono strutture a vocazione orto traumatologica, quale l’Icot di Latina e sulle numerose cliniche, specie cattoliche, che hanno implementato le ortopedie.
“Per meriti professionali legati al potenziamento dell’Istituto chirurgico orto traumatologico – dice De Santis – la città di Latina ha conferito a Emmanuel Miraglia il 12 giugno scorso la cittadinanza onoraria ed è chiaro come la patologia di elezione ortopedica, la più remunerativa come Drg (raggruppamento omogeneo di diagnosi, ndr.) spinga i privati a puntare su tali reparti”. “Tutti i decreti regionali, inclusi quelli targati Polverini – continua lo specialista – puntano al rilancio della nostra vocazione orto traumatologica e ci individuano come centro di riferimento regionale, considerato anche il sicuro eliporto di cui disponiamo. Perché la comunità dovrebbe perdere un tale patrimonio di cultura scientifica?”.