Dalla Manovra, in arrivo 500 euro mensili agli specializzandi di area sanitaria (farmacisti, veterinari, odontoiatri, biologi, chimici, fisici e psicologi), ma quando vedremo un incentivo analogo per la professione infermieristica? L’integrazione nella Manovra, annunciata lunedì, con l’emendamento firmato dal Deputato Marta Schifone, laureata in farmacia, che prevede un compenso di 500 euro mensili per gli specializzandi di area sanitaria, non può che suscitare reazioni positive, naturalmente in particolare nel settore farmaceutico e medico-veterinario. Infatti, per la prima volta, gli specializzandi in farmacia, veterinaria, odontoiatria, biologia, chimica, fisica e psicologia, riceveranno un contributo economico. Questa misura non può non essere vista come un passo importante per risolvere una questione storica: il finanziamento e l’impiego degli specializzandi nelle strutture sanitarie pubbliche, come le Aziende Sanitarie Locali e gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali. Un gesto che rappresenta un riconoscimento doveroso per quei professionisti sanitari che intraprendono un delicato percorso formativo. Tuttavia, emerge chiaramente, e stride, senza alcun dubbio, l’assenza di provvedimenti simili per la professione infermieristica, che, al contrario, continua da tempo immemore a recitare il ruolo della “Cenerentola”, in quella che non è certo una favola a lieto fine. Se, da un lato, è giusto che gli specializzandi di area sanitaria vengano adeguatamente supportati dal punto di vista economico, lo è altrettanto per i tirocinanti afferenti ai percorsi di formazione per le professioni  infermieristica ed ostetrica, che pure sanitarie sono. La disparità tra le professioni sanitarie, in particolare tra medici e infermieri, ha raggiunto livelli così ampi da permetterci di affermare, con cognizione di causa, che siamo di fronte, da tempo, a uno squilibrio assolutamente ingiustificato. La professione infermieristica sta attraversando una crisi senza precedenti, con un costante calo degli iscritti, e con l’Italia che si trova al quintultimo posto in Europa per numero di infermieri laureati: appena 17 per 100.000 abitanti, ben al di sotto della media europea. Nel 2024, il numero degli iscritti ai corsi di laurea in infermieristica è crollato drasticamente: da 46.281 nel 2010 a soli 21.250 quest’anno. Questa grave crisi non può più essere ignorata, abbiamo bisogno di misure concrete per salvaguardare il futuro dell’assistenza. Se la tendenza non cambia, rischiamo di trovarci senza una forza lavoro qualificata che da tempo è capace di sorreggere sulle proprie spalle il peso del nostro sistema sanitario nazionale. Ed emergono dati  allarmanti come l’alto tasso di abbandono degli studi in infermieristica, che oscilla tra il 19 e il 20%, una percentuale che evidenzia quanto il sistema di formazione infermieristica sia fragile e poco attrattivo per i giovani. Nella maggior parte dei casi, è bene ricordarlo, non viene previsto alcun sostegno per i tirocinanti infermieri. E sulla delicata questione in più di una occasione l’Italia è stata anche “bacchettata” dall’Europa. Non possiamo permetterci di adottare due pesi e due misure. E poi c’è chi si “batte il petto” chiedendosi perché i giovani non vogliono iscriversi ai nostri  percorsi universitari. La disparità tra le professioni sanitarie rischia solo di minare nel profondo la già precaria stabilità del nostro Servizio sanitario nazionale. Gli studenti in infermieristica, ostetricia e in quelli delle professioni sanitarie – ex lege 43 del 2006 – sono in prima linea ogni giorno e meritano rispetto e adeguati riconoscimenti, al pari delle altre professioni.

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