Gli ospedali non sono alberghi

 

sirene ottobre-1Dal Commissario straordinario dell’Azienda San Filippo Neri di Roma riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Nella ormai arcinota “classifica” degli ospedali italiani, che tanto rumore ha giustamente causato, l’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri di Roma occupa la poco onorevole quart’ultima posizione su 1440 ospedali presi in esame. Premetto che chi scrive è un convinto sostenitore dell’utilità della valutazione della performance (e, aggiungo, dell’accreditamento dei professionisti) e della comparazione degli esiti delle cure, però con meccanismi di revisione tra pari, ben diversi dallo “sbatti il mostro in prima pagina” usato da La Repubblica. Esaminiamo il metodo, innanzitutto. La classifica stilata da Repubblica è frutto di un’elaborazione arbitraria che conduce a risultati falsi e fuorvianti, presentati in forma di graduatoria di ospedali “migliori” e “peggiori”, generata utilizzando solo 15 dei 47 indicatori ospedalieri monitorati da Agenas. Come sia stata effettuata la selezione, non è dato saperlo. La medesima Agenzia, con un tempestivo comunicato stampa, disconosce la paternità di quella classifica, “ottenuta con indicatori non aggregabili tra di loro, in quanto valutano ambiti differenti, con peso diverso, sia in termini numerici, sia di impatto in termini di salute”. L’Agenzia ha ribadito più volte agli organi di informazione che quei dati vanno trattati con attenzione e da mani esperte; l’obiettivo del PNE non è quello di produrre graduatorie tra ospedali o tra Regioni, né di orientare il cliente come se fosse Trip Advisor, ma di essere uno strumento di monitoraggio e valutazione a supporto della programmazione sanitaria e dei conseguenti interventi correttivi e non può essere utilizzato per semplificazioni giornalistiche che hanno effetti destabilizzanti sugli utenti e sul sistema Sanità. L’unico modo per rendere queste informazioni utili e non dannose sarebbe preconfezionarle a scopo divulgativo da parte di Agenas, ma se ciò non avviene non si può tradurre tutto in sensazionalismo giornalistico, inventando un “meta indicatore”, che mette insieme valutazioni di efficacia (mortalità, complicanze) e di processo (tempi di attesa, tempi di degenza) di patologie molto differenti tra di loro, conducendo ad un unico valore (numerico?) che faccia la sintesi di tutto e consenta di dire chi è meglio e chi è peggio. L’ospedale è un organismo troppo complesso per prestarsi a queste logiche riduzionistiche. Pur volendo poi seguire il criterio utilizzato da Repubblica, mi domando come sia possibile che, trovandosi il S.Filippo Neri “in zona rossa”, ovvero con una prestazione peggiore della media nazionale, in 4 circostanze (mortalità per bypass aortocoronarico e per interventi valvolari, mortalità per frattura di femore, % colecistectomie laparoscopiche) possa pervenire ad un così catastrofico risultato finale. Esaminiamo poi il significato della categoria “migliore/peggiore” applicata ad un ospedale. Quando la gente esprime un giudizio (“quello è un buon ospedale”) credo tenga conto, oltre che dei risultati delle cure, del modo in cui si sente accolta, della sensazione di sicurezza che viene trasmessa, della gradevolezza dell’ambiente, dell’organizzazione interna, della soddisfazione per il trattamento ricevuto, tutti fattori che ovviamente non compaiono nell’analisi effettuata. Oltre alla percezione dell’utente, poi, per definire un “buon” ospedale varrano pure qualcosa i casi di “malasanità” registrati, come si gestiscono gli eventi avversi e le infezioni ospedaliere, il clima organizzativo interno e la credibilità dei professionisti, la loro visibilità e la loro fama, la trasparenza della gestione e l’impiego onesto delle risorse…oppure no ? Anche questi sono punti di forza del San Filippo Neri, che quotidianamente riceve riconoscimenti di merito da parte dei cittadini che assiste. Essendo noto che il nostro ospedale è tutt’altro che uno dei peggiori d’Italia, è preoccupante vedere come un approccio quale quello utilizzato possa condurre a risultati molto difformi dalla realtà.

Lorenzo Sommella

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