Una mamma sfinita dal travaglio, un neonato indifeso, l’applicazione rigida di norme importate e imposte. Questa, in sintesi, la drammatica storia legata alla morte del piccolo Carlo all’ospedale Pertini – presumibilmente schiacciato dalla mamma addormentata – su cui non abbiamo ancora certezze, finché non si avrà il responso dell’autopsia sul minuscolo corpicino. Di sicuro però, c’è l’applicazione di un protocollo assistenziale mutuato da grandi organizzazioni internazionali, l’Oms e l’Unicef, il cui lodevole intento è la promozione dell’allattamento al seno, pratica in cui sembra sia indispensabile la vicinanza della mamma al bambino fin dai primi istanti di vita. Il tutto, legato al progetto “Ospedale amico delle bambine e dei bambini”, con tanto di accreditamento Unicef e la pratica spinta al “rooming in”, un protocollo assistenziale che prevede il contatto fisico per il benessere del bambino, forse sottovalutando lo stato di salute di una donna che, con il parto, ha affrontato uno sforzo non indifferente. Dal 1991, anno in cui l’Unicef lanciò  la “Baby friendly hospital initiative” (Bfhi), è stato un susseguirsi di eventi, iniziative, progetti e confronti anche nel nostro Paese, con il ministero della Salute che promosse l’inserimento della pratica assistenziale nell’Accordo Stato-Regioni del 16 dicembre 2010. Attualmente in Italia sono poco più di 30 gli ospedali amici di bambine e bambini perché, come sempre, ogni medaglia ha il suo risvolto. Per adeguarsi alle indicazioni delle organizzazioni internazionali Oms e Unicef, sono necessari standard che molte strutture, nella nostra sanità depotenziata, non possono garantire. Ė evidente che, in carenza di 20mila ostetriche su tutto il territorio italiano e di oltre 65mila infermieri, un reparto di ostetricia, con la delicatezza e l’attenzione che il percorso nascita richiede, possa garantire tali innovativi protocolli solo con molte difficoltà e i conseguenti rischi. Non possiamo nasconderci dietro un dito e, facendo un omaggio alla sempre efficace saggezza popolare, non possiamo non concordare con il team assistenziale di un reparto maternità di Roma da noi visitato, i cui professionisti sostengono che “O si adotta l’innovazione con uomini, donne e strumenti …o si continua a praticare l’italianissima assistenza post-partum con tanto di nursery e controllo costante degli operatori”. Non crediamo che l’allattamento al seno ne risenta più di tanto, ferme restando le istanze delle organizzazioni sovranazionali, pronte a livellare differenti esigenze a livello planetario sulla base di considerazioni troppo spesso avulse dalla realtà.

 

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