Il funerale della sanità pubblica

Sabato 27 ottobre ore 11, la sanità esala l’ultimo respiro e in migliaia sono pronti a celebrarne il funerale. C’è perfino una bara e relativo corteo funebre: percorso piazza della Repubblica-Colosseo. Sono in tanti a partecipare alle esequie: 24 sigle sindacali della dirigenza medica, sanitaria, amministrativa, cui si aggiungono infermieri, tecnici, operatori e tanti cittadini. I medici portano il lutto al braccio ma i volti non sono contriti dal dolore: sono infervorati dalla rabbia, dalla non rassegnazione, dalla voglia di gridare a tutta la città: “Non ci stiamo!”. “Chi si rassegna perde ogni giorno” tuona dal palco sotto l’anfiteatro Flavio Costantino Troise, segretario generale dell’Anaao Assomed, il sindacato più rappresentativo dei camici bianchi. Gli fa eco Giuseppe Scaramuzza, che partecipa a nome dei cittadini, quella moltitudine di persone che ogni giorno fa la fila ai poliambulatori, che si affanna per fissare una prenotazione al Recup, il call center regionale che tutti ci invidiavano e che ora marcia verso il fallimento. Quelle persone che, chiamando una struttura privata si sentono dire che si, l’esame è più economico nei loro ambulatori che nelle strutture pubbliche. “L’emocromo? Signora, da noi lo paga 5, in ospedale 19. Certo, 14 euro di contributo regionale”. Si, quella regione che ha dato indegno spettacolo di sé, distraendo fondi da un capitolo di bilancio all’altro, sappiamo tutti per quali nobili scopi. “La sanità non è un onere di cui liberarsi – fa presente Scaramuzza ai rappresentanti del governo – ma un fattore di sviluppo, quello sviluppo che l’esecutivo ha dimenticato applicando solo il rigore”. Non si è pensato, in questi lunghi anni – dalla prima grande riforma del 1978 che promuoveva il Servizio sanitario universalistico, affermando l’uguaglianza del diritto alla salute e nell’accesso alle cure – a predisporre un modello di sanità che rispondesse alle nuove sfide, che tamponasse l’inarrestabile emorragia di risorse con differenti sistemi di finanziamento, a condurre una lotta agli sperperi, alla corruzione, con investimenti in grado di risollevare il sistema. Ci si è adagiati su vecchi schemi burocratici, pensando che un cambiamento lessicale potesse incidere su un sistema incancrenito. Aziende? Ma quali? Direttori-manager? Ma quando? Per non parlare dell’affrettata “devoluzione” di poteri alle Regioni, ovvero riforma del Titolo V della Costituzione, senza alcun approfondimento, senza nessuna sperimentazione. Inutile dilungarsi: ne vedremo delle belle con la riforma di Renato Balduzzi, ennesimo rattoppo di una falla su una barca vecchia.

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