Il futuro? L’ospedale a intensità di cure
Differenziare i pazienti collocandoli in tre aree. Stop numero chiuso, organizzazione modulare nei reparti.
di Luigi Zulli*
Conferenza Stato-Regioni del 5 agosto 2014: è approvato su proposta del ministro della salute, Lorenzin, il regolamento sulla “definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera” che fissa il numero minimo di 3,7 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti per riabilitazione e lungodegenza. I principi ispiratori mirano a promuovere qualità assistenziale e sicurezza delle cure, implementando l’integrazione tra servizi ospedalieri e territorio, per ridurre il tasso di ospedalizzazione e la durata della degenza. Il decreto fissa la classificazione delle strutture ospedaliere in tre livelli di complessità crescente, in rapporto ai bacini di utenza: il primo come presidio ospedaliero di base tra 80.000 e 150.000 abitanti, il secondo presidio ospedaliero di I livello tra 150.000 e 300.000 abitanti, il terzo presidio ospedaliero di II livello tra 600.000 e 1.200.000 abitanti. Il decreto inoltre fissa oggettivi parametri di riferimento indicando i volumi di attività, prevede da parte delle regioni la riorganizzazione della rete ospedaliera in hub e spoke (lett. mozzo e raggi, per indicare il principio delle reti cliniche integrate, ndr) e stabilisce nuove indicazioni programmatiche per la rete dell’emergenza. Il nostro Servizio sanitario, tra i più efficienti e meno costosi al mondo, non necessita di continue rivisitazioni e tagli ragioneristici con logica opaca e vista miopica, ma di maggiore competenza e motivazione del personale, specie delle organizzazioni mediche, ancora una volta eluse, alla faccia della trasparenza. Bisogna, a tal fine, ridisegnare gli standard minimi e massimi da assegnare alle risorse umane mediche, infermieristiche, ausiliarie. In merito alle situazioni logistiche e alberghiere, bisogna considerare il progressivo invecchiamento della popolazione con aumento delle patologie croniche e delle fasi di riacutizzazione, con ricoveri ripetuti per acuzie spesso improprie. Bisogna altresì considerare in fase di programmazione, che il fattore che incide per circa il 50%, sulla spesa sanitaria, è rappresentato dalla diffusione capillare delle nuove tecnologie. Bisognerà poi focalizzare l’attenzione sugli sprechi, circa il 30% e ripensare agli elevati costi amministrativi. La soluzione sarebbe ridisegnare le direzioni sanitarie e i loro apparati burocratici, insieme ai reparti di degenza e i dipartimenti, in particolare quelli di area medica. Occorre abbandonare la concezione specialistica e introdurre il concetto di livello di intensità di cure, differenziando i pazienti in tre aree di intensità, sotto la direzione di un internista con la collaborazione e il pronto intervento H12 o H24 di tutti gli specialisti. Infine, i reparti di degenza non possono più avere il “numero chiuso”, ma una organizzazione modulare che preveda, in caso di necessità, l’aumento dei posti letto da un minimo a un massimo, secondo il concetto, già espresso, della “fisarmonica”.
*Medico dell’Emergenza