Infezioni ospedaliere: la prevenzione è un optional nella sanità aziendale
Da Corrado Stillo, responsabile dell’Osservatorio dei diritti dell’Associazione “Dossetti”, riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Alla luce dei dati epidemiologici forniti ad oggi sull’aumento delle infezioni ospedaliere, dobbiamo constatate che il Piano di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza relativo al triennio 2017-2020 e la circolare emesse dal ministero della Salute il 18 gennaio 2019 sul Sistema nazionale di sorveglianza sentinella dell’antibiotico-resistenza (AR-ISS) sono rimasti, finora, lettera morta. Si tracciano linee di indirizzo e buoni propositi ma poi, senza finanziamenti mirati e strategie di intervento, i malati non solo continuano a contrarre infezioni durante il periodo di degenza ma le mortalità in aumento ci inducono a lanciare un grido dall’allarme poiché siamo di fronte ad una vera e propria emergenza sanitaria. L’opinione pubblica e la maggioranza dei cittadini non conosce la pericolosità che, invece, i dati ci riferiscono senza mezzi termini. In Italia circa il 5-7% dei malati ricoverati negli ospedali contrae un’infezione con circa 500-700 mila casi, con una mortalità del 3%. Nel nostro Paese le vittime per sepsi sono in tutti i reparti: da quelli di neonatologia alle terapie intensive, da quelli di medicina in cui pazienti diabetici e dializzati oltre che over 75 sono più facilmente attaccati, alle cliniche di riabilitazione in cui vengono trasferiti malati curati in prima istanza in strutture pubbliche e poi, magari per un trattamento di riabilitazione, contraggono infezioni spesso mortali. I piani di prevenzione delle infezioni ospedaliere in Italia sono quasi inesistenti perché, nella gestione aziendalistica delle ASL sono annoverati tra i costi e, quindi, nella logica della spending review, depennati e cancellati da ogni programmazione. Eppure la realtà dovrebbe indurre ad attivarsi da subito sia nel monitoraggio in tutte le regioni italiane sia nel predisporre quelle misure basilari che eviterebbero il propagarsi oltre misura di infezioni difficilmente curabili. L’Associazione “Dossetti” si rende disponibile, anche attraverso i dati che possiede mediante la raccolta delle segnalazioni pervenute all’Osservatorio dei Diritti, a fare del Gruppo Tecnico di Coordinamento della strategia di contrasto dell’AMR (antibiotico resistente) un mezzo di effettivo e reale di operatività ed efficacia. Noi chiediamo soprattutto la trasparenza dei dati in tutte le regioni italiane, la predisposizione urgente delle misure preventive di cui dirò in seguito, la presenza reale di comitati per il controllo delle infezioni all’interno delle strutture sanitarie pubbliche e private, con verbali redatti periodicamente, accessibili ai rappresentanti dei malati. In Europa si calcola che i batteri resistenti causano almeno 25 mila morti all’anno, in Italia circa 7.000 decessi l’anno. Da tempo l’Associazione “Dossetti” indica un fattore di rischio negli allevamenti intensivi in cui si somministra il 71% degli antibiotici venduti in Italia. Noi, insieme ad altre associazioni di cittadini, abbiamo chiesto al Ministro Lorenzin, ed oggi lo chiediamo al nuovo ministro della Salute Roberto Speranza, di puntare entro il 2020 ad una sensibile riduzione nell’uso di antibiotici negli allevamenti intensivi, di monitorare periodicamente tutti gli allevamenti intensivi italiani allo scopo di ridurre l’uso di antibiotici a scopo animale. Il Piano Nazionale di Contrasto dell’Antibiotico–Resistenza approvato dal Ministero della Salute prevede una percentuale massima del 30% dell’uso di antibiotici. Intanto nuovi allarmi ci pervengono sulle infezioni difficilmente curabili. Ė il caso del superbatterio New Delhi che in Toscana tra il novembre 2018 e l’agosto 2019 nei pazienti con sepsi ha causato una mortalità del 40%. La Regione Toscana sta monitorando giornalmente la situazione che, finora, appare sotto controllo. Ma questa infezione è un evento sentinella da non trascurare e deve indurre tutti gli attori presenti nella sanità ad incrementare le misure di prevenzione. Ancora oggi capita di osservare personale medico e infermieristico uscire dai reparti di chirurgia ed andare a prendere il caffè al bar e alle mense, sia fuori che dentro gli ospedali e poi rientrare nei loro reparti senza alcuna precauzione. Oppure usare cellulari all’interno dei reparti senza predisporre misure minime di precauzione. Se ne potrebbero citare altri di episodi in cui l’igienizzazione delle mani e degli oggetti non vengono praticati, come dovrebbero, perché c’è poca coscienza sulla prevenzione. Parlando di Europa non posso qui non citare un articolo della Carta Europea dei Diritti del Malato, approvata a Bruxelles nel 2002. L’art. 1 afferma il diritto di ogni malato a misure preventive: “Ogni individuo ha diritto a servizi appropriati a prevenire la malattia. I servizi sanitari hanno il dovere di perseguire questo fine incrementando la consapevolezza delle persone, garantendo procedure sanitarie a intervalli regolari e libere da costi per i diversi gruppi di popolazione a rischio, e rendendo disponibili per tutti i risultati della ricerca scientifica e della innovazione tecnologica.” Noi riteniamo che la prevenzione delle infezioni ospedaliere sia un diritto inviolabile alla pari del diritto alle cure. Che senso ha ricoverare un malato per curarlo se poi, all’interno dell’ospedale, contrae una infezione ben più grave della sua malattia? All’esterno dell’entrata di ogni reparto ospedaliero dovrebbero essere indicate le regole da seguire per i visitatori per accedere nella struttura: lavaggio delle mani anche con disinfettanti, sterilizzazione dei rubinetti dell’acqua e via dicendo. Per il personale medico e infermieristico andrebbero resi obbligatori comportamenti responsabili: divieto di entrare ed uscire con scarpe e divise indossate nei reparti, evitare l’uso di unghie artificiali, togliere anelli, bracciali, orologi e quant’altro prima di stare a contatto con i malati. All’esterno dei reparti dovrebbero essere affisse, ben evidenti, tutte quelle misure predisposte a prevenire le infezioni ospedaliere. Comunicare con i malati ed i loro familiari è un compito non più eludibile perché nell’accordo medici- infermieri-malati è la vita umana a trarre i maggiori benefici.