La legge dell’espediente
La battuta migliore è di Carlo Verdone che, su un grande quotidiano lo scorso 21 settembre commentava: “La realtà ci supera! Tutto quello che sta succedendo alla Regione Lazio non finirà mai in un film perché noi registi, attori, siamo battuti, fuori gioco…questi scandali c’hanno prosciugato la creatività, siamo finiti”. È vero. Ciò che è successo, quei volti, il portamento, il piglio dei personaggi, l’arroganza senza limite coniugata alla rozzezza supera qualsiasi sguaiata sceneggiatura da “cinepanettone”. Ed è diventata la norma. Sarebbe superfluo rievocare le nefandezze che hanno riempito le cronache per settimane. Il grottesco ci ha sommerso e non riusciamo a reagire se non con stizziti commenti, magari con qualche imprecazione e il desiderio di disertare le urne alle prossime elezioni. Proposito puntualmente disatteso. Non è solo l’assuefazione collettiva a stupire. Al di là delle accuse di peculato per qualche consigliere regionale, gran parte delle ruberie sono assurte a sistema. Tutto previsto per legge: gli stipendi da nababbi, i rimborsi, le gratifiche, le diarie e chi più ne ha ne metta. Per citare argomenti a noi vicini, nella sanità succede altrettanto per le figure apicali. È di alcuni giorni fa la polemica che un gruppo di cittadini ha sollevato per i premi da “raggiungimento degli obiettivi” dei direttori sanitario e amministrativo di una Asl del Lazio. Un premio di produzione di 23 mila euro a testa, previsto da contratto, definito per legge, per soggetti la cui retribuzione annua supera di circa cinque volte quella di un funzionario o di un infermiere. È uno spasso studiare i documenti che attestano tali corresponsioni. Due delibere di una grande azienda ospedaliera romana di qualche anno fa, stabiliscono il compenso per i due direttori di quella struttura, derivante da “contratto di prestazione d’opera intellettuale, con l’integrazione di una quota pari al 20% del trattamento economico sulla base dei risultati di gestione ottenuti e della realizzazione degli obiettivi, fissati annualmente dal direttore generale e misurati mediante appositi indicatori”. E quali sarebbero gli indicatori? Ma è ovvio, la relazione che i medesimi professionisti presentano al direttore generale “sullo stato di attuazione degli obiettivi specifici assegnati”. Come si dice a Roma “se la cantano e se la sonano”. Il tutto in ossequio alla legge. Bene hanno fatto i cittadini della Asl a richiedere “la scala di misurazione e i criteri di valutazione” dei supposti obiettivi raggiunti, attività che qualche decennio fa rientrava pienamente nei compiti istituzionali di figure apicali quali quelle in oggetto e che oggi si è deciso di monetizzare. Partecipazione e controllo, a lungo andare, potrebbero far invertire la tendenza, indirizzando le risorse dove veramente necessitano. Per il diritto alla salute, contro l’arbitrio dei Fiorito di casa nostra.