La medicina della liturgia

sirenegiugno_Pagina_01piccolaPuntuali come il panettone, prevedibili come un temporale dal cielo plumbeo, ridondanti come le promesse dei politici, arrivano le giornate dedicate a qualcuno o a qualcosa che abbia attinenza con la medicina. Ce n’è per tutti. Malattie, pazienti, operatori, giornate pro, giornate contro, giornate per: diabetici, malati rari, malati oncologici, malati di reni, malati di cuore, soggetti affetti da patologie polmonari e interrompiamo qui l’uggioso elenco. Ultima, in ordine di tempo, la giornata mondiale senza tabacco, celebrata il 31 maggio scorso. Sempre più spesso, nella comunità scientifica, ci si interroga sull’impatto di tali eventi – al di là della mera testimonianza – su come queste stanche liturgie incidano sui dati epidemiologici, come intervengano nelle scelte dei decisori.

La giornata anti tabacco non si sottrae a tale giudizio. Da anni si insiste sulla prevenzione, il nostro Paese è all’avanguardia per quanto attiene alla normativa. Si cominciò nel 1975 con la prima legge per arrivare, nel 2003, a ulteriori restrizioni che ci allineano ai paesi anglosassoni, impegnati in battaglie fondamentaliste contro il fumo. Nei fatti, cosa fanno i pubblici poteri perché le campagne antifumo risultino efficaci? Un dato su tutti: in Italia, nel 2010, con 10,48 miliardi di gettito fiscale e 7,5 miliardi di spesa sanitaria correlata alle malattie derivanti da uso di tabacco, ci fu un ricavo di 2,98 miliardi di euro per le casse dello Stato. Ministero della Salute versus ministero dell’Economia. Nel 2011 una proposta di legge dei senatori Antonio Tomassini e Ignazio Marino – da poco dimesso dalla carica – prevedeva un lieve rincaro del pacchetto di sigarette per poi reinvestire parte del ricavato nelle campagne di prevenzione. Non sappiamo che fine abbia fatto tale proposta. Di fatto, sappiamo che da parte dello Stato non c’è nessuna indicazione alle Regioni atta a potenziare i centri antitabagismo.

Un autorevole specialista sostiene che molte di queste strutture, del centro antifumo hanno soltanto l’etichetta fuori dalla porta. I dati confermano tale asserzione. L’indagine Doxa 2013 rivela che la conoscenza di tali strutture da parte dei fumatori si attesta intorno al 30 per cento, in calo, rispetto al 2009 quando al corrente del centro era il 52.3 per cento dei soggetti intervistati. Nel 95,8 per cento dei casi il medico di famiglia non parla del centro antifumo ai propri assistiti. Soprattutto, il trattamento per la disassuefazione non è inserito tra i livelli essenziali di assistenza, i cosiddetti Lea e gli utenti non hanno alcuna facilitazione nell’acquisto dei farmaci.

Ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità perseguono però nell’azione, in collaborazione con importanti enti come le Ferrovie dello Stato che quest’anno hanno messo a disposizione i treni ad alta velocità per la campagna “sFreccia contro il fumo”. Apprezzabile, ma nulla in confronto con quanto si potrebbe fare se la salute fosse considerata un diritto dei cittadini non rapportabile alle leggi dell’economia.

 

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