La mia notte in pronto soccorso
Roberto Pezzi ci racconta una storia di buona sanità, un episodio capitato a suo suocero Fernando. Portato in pronto soccorso al San Camillo, in attesa di un posto letto per una affezione di natura gastrica, nella notte tra l’11 e il 12 gennaio, l’anziano vede le sue condizioni di salute aggravarsi repentinamente. Respira a fatica, non ce la fa neanche a parlare. Gli è stato riservato un posto dietro una tenda, tra i numerosi pazienti che, come lui, attendono da ore. I familiari sono rassegnati: si sa che in ogni pronto soccorso di Roma, e forse di tutta Italia, sai quando arrivi e non sai quando riesci a uscire. Soprattutto, i parenti sanno che per ore e ore non riceveranno alcuna informazione, nessun conforto o rassicurazione sulle condizioni del congiunto, che potrebbe restare altre ore da solo dietro quella tenda. Poco dopo le 21, a sorpresa, arriva un medico dall’aria seria e riflessiva. Si mette accanto a Fernando, lo controlla, verifica i parametri – come si dice in gergo tecnico – lo sostiene e non si sposta da lì fino a notte inoltrata. Non si spende in commenti, è piuttosto schivo e anche quando Roberto, alle tre di notte, si allontana per un comprensibile cedimento alla stanchezza, quel medico resta lì, attento e vigile nel suo silenzio. Non riferisce il suo nome il dottore, ma lo si può leggere sull’etichetta del camice: Giuseppe Nardi. Roberto gli esprime tutta la sua gratitudine da queste pagine e, non appena possibile lo farà personalmente.