La salute dei bimbi africani diventa un caso “social”
“Da tempo i telespettatori di ogni rete televisiva sono bersagliati dalle immagini strazianti di bambini africani denutriti e malati, da ragazze e ragazzi affetti da malattie terribili: tutto rivolto a chiedere soldi per le Onlus che dovrebbero provvedere a questi poveri disgraziati”. Inizia così il lungo post che Corrado Stillo, docente di un istituto tecnico di Roma, ha pubblicato sulla sua pagina Facebook, ricevendo molte approvazioni. I piccoli del Terzo Mondo scheletriti, piangenti, ricoperti di insetti non sono sfuggiti all’attenzione di nessuno, specie perché gli spot vengono trasmessi con più frequenza all’ora di pranzo o di cena e dei bimbi viene pronunciato il nome, ancorché di fantasia. E ancora, bambini sfortunati, nati con malformazioni e deficit irrecuperabili, mostrati in tutta la loro fragilità, sovente mentre sono sottoposti a terapie e martoriati da cannule, aghi e tubicini, quasi a enfatizzare tanto dolore per fare colpo su possibili sottoscrittori per le associazioni che dichiarano di occuparsi di loro. “Insieme a tali immagini – continua Stillo – sebbene si chiedano fondi ai cittadini, non si forniscono mai bilanci chiari, trasparenti, che mettano in luce la destinazione delle entrate e delle uscite. Sarebbe opportuno – insiste – un maggior controllo dello Stato sull’opera svolta dalle Onlus e su come si impiegano i soldi, considerato che gli stessi sono versati sotto l’impulso di rappresentazioni emozionanti per il pubblico, indotto a contribuire per l’empatia suscitata da narrazioni sapientemente studiate”. Una operazione trasparenza che non si può non condividere. Soprattutto, come giornalisti, ci poniamo alcuni interrogativi sull’applicazione della Carta di Treviso. Nel 1990 la Federazione nazionale della stampa, l’Ordine dei giornalisti e l’associazione Telefono azzurro, che tutela i minori, siglarono tale protocollo con l’intento di disciplinare i rapporti tra informazione e infanzia. Nel rispetto del diritto di cronaca, il documento pone l’accento sulla necessità di “salvaguardare l’immagine di bambini e adolescenti”. Si considerano, in particolare, “i casi di minori malati, svantaggiati o in difficoltà, badando a non sconfinare nel sensazionalismo e/o nel pietismo, che potrebbero divenire sfruttamento della persona”. La foto perfetta di quanto invece avviene nel caso dei bambini africani o dei disabili gravi, oggetto di spot pubblicitari. Perché di questo si tratta. Evidentemente si applicano due pesi e due misure: per l’Africa si passa sopra tutte le disposizioni, rigide invece se applicate all’infanzia del solo emisfero boreale. “La solidarietà – conclude Stillo nel suo post – è uno dei tanti slanci che rendono gli italiani famosi nel mondo e va difesa, pretendendo la massima trasparenza su tutte le azioni compiute in suo nome”.