La sanità cambia, ma nessuno
se ne accorge

Layout 2Capita a ogni annuncio. Inaugurazioni, convegni, dibattiti, interviste. I nostri amministratori si sbracciano per dimostrare che tutto sta cambiando e, con gattopardesca intuizione, sperano così di acquisire consensi fondati in realtà sulla politica del nulla. Immaginando di fare un viaggio nella sanità che, a loro avviso starebbe subendo copernicane mutazioni, non riusciamo a scorgere se non deboli segnali della miracolosa svolta che avrebbe dovuto prodursi al massimo entro un anno dalle elezioni regionali. Nessuno è dotato di bacchetta magica, ne siamo consapevoli ma, al di là di tre case della salute – non sappiamo quanto efficienti – qualche servizio ripristinato e alcuni ambulatori aperti a scartamento ridotto, non ci sembra di scorgere decisive trasformazioni. Lo assaporiamo entrando in un qualsiasi pronto soccorso, ce ne rendiamo conto mettendoci in fila a uno sportello Cup o peggio, tentando di prendere al primo colpo la comunicazione all’803333, servizio prenotazioni Recup. Lo tocchiamo con mano entrando in un ospedale – tranne sporadici casi – facendo fatica a trovare una indicazione sulla ubicazione dei reparti, ce ne accorgiamo pensando di poter fissare una visita o un esame in tempi decenti, nonostante gli eclatanti annunci di qualche mese fa su rivoluzionarie norme che di rivoluzionario hanno soltanto la denominazione. Non stiamo parlando di costose quanto inattuabili riforme. In molti casi quanto elencato si potrebbe risolvere senza alcun aggravio di spesa. Di fatto, non ci si è ancora misurati su quelle che sarebbero le scelte di fondo, le linee guida degli atti aziendali mille volte annunciate e sempre sospese, una selezione seria dei direttori generali individuati per merito e svincolati dalla politica. Capita sovente di sentire che due o tre di questi sarebbero espressione di alcune forze politiche dell’opposizione, per metterla a tacere. Veramente sconsolante. Per non parlare di soggetti condannati per danno erariale, non certo legato a nomine dirigenziali bensì alla non attivazione di servizi profumatamente pagati. E non tocchiamo l’argomento tagli. In Sicilia – non parliamo di Emilia, Toscana, Veneto e Lombardia, cosiddette regioni virtuose – la riorganizzazione della rete sanitaria è progetto discusso e condiviso da mesi, da amministratori e cittadini insieme. Lì non si è fatto alcun miracolo, si è applicata una legge dello Stato, il decreto 502 del ‘92 che all’articolo 14 prevede la partecipazione dei cittadini alle scelte fondamentali di politica sanitaria. Nel Lazio al contrario nel 2008 – per entrare nel concreto – dopo la consegna al Comune di Roma di oltre 45 mila firme di cittadini che vorrebbero la riconversione a servizi socio-sanitari dell’ospedale Forlanini la Regione, con la legge 14 del 2008 di assestamento di bilancio, ha decretato la fine del nosocomio. Con un emendamento inserito all’articolo 1 comma 65 punto c): “il complesso immobiliare dell’ex ospedale non si intende più destinato ad attività sanitaria e l’azienda ospedaliera San Camillo provvede entro il 31 dicembre 2008 a rendere disponibili gli immobili”. Oplà: muore un’azienda e ne nasce un’altra, con connotati diversi da quelli stabiliti con decreto ministeriale negli anni Novanta. Miracoli del diritto, piena potestà legislativa regionale versus un decreto statale.

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