La sanità è donna e non è un’affermazione priva di fondamento. Lo attestano i numeri, lo riconoscono i principali protagonisti. Nei comunicati diffusi in occasione dell’8 marzo i sindacati, all’unisono, riconoscono il ruolo essenziale della presenza femminile nel servizio sanitario pubblico e anche nel privato. I dati estrapolati da una indagine di otto Università italiane, rivelano che il 70% dei dipendenti della sanità è composto da infermiere, dottoresse e operatrici sociosanitarie, tutte donne. Non è un caso se Gianluca Giuliano, segretario nazionale Ugl Salute ricorda la leggendaria figura di Florence Nightingale, fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna, sottolineando che “la donna è la forza dell’universo, pilastro della società e del mondo del lavoro e ne forma le fondamenta ed è dovere di un paese civile difenderle e valorizzarle”. Sulla stessa linea il sindacato degli infermieri Nursing up, che fornisce i dati sulle aggressioni, che colpiscono in maggioranza le infermiere. Per la precisione sono 97.500 le professioniste aggredite nel 2023, tra cui un 30% ha subito violenza fisica. Spietate le modalità della barbarie: pugni, denti saltati, morsi, ecchimosi al volto e al corpo, fratture e commozioni cerebrali. Inquietanti i mezzi di offesa utilizzati: coltelli, manganelli, addirittura accendini, come accaduto di recente in Toscana, con la minaccia di appiccare il fuoco agli ambienti ospedalieri. “Le infermiere italiane sono madri e mogli prima che professioniste – sostiene il presidente Antonio De Palma – sottraggono tempo alla loro famiglia e alla loro vita personale per prendersi cura dei pazienti, eppure ogni giorno sono costrette a subire violenze. I numeri sono inaccettabili”. Uno sguardo sulla condizione delle professioniste sanitarie a livello globale lo fornisce Foad Aodi, presidente di Amsi, l’associazione dei medici stranieri in Italia che, in collaborazione con altre realtà associative operanti in 120 paesi del mondo, rileva “la competenza, lo spirito di sacrificio e l’empatia delle donne in sanità” e denuncia la “scarsa presenza delle professioniste nei ruoli dirigenziali, pari al 28% di collocazione nelle posizioni apicali, con retribuzioni che spesso si attestano intorno al 20% in meno rispetto ai colleghi maschi”. Aodi si sofferma sulla condizione di dottoresse e infermiere straniere che incontrano difficoltà di ogni tipo sul luogo di lavoro: dal mancato riconoscimento dei titoli a pregiudizi di carattere culturale e religioso, chiedendo un “cambiamento culturale in sanità”. Sui risultati delle donne nello studio si concentra Lara Ghiglione, segretaria confederale Cgil, che rileva come “il 59,7% del totale dei laureati sono donne, il 40% anche nelle discipline Stem (scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche)  e nelle specializzazioni post-laurea superano il 60%. Nella fascia d’età 25-34 anni poi – commenta la segretaria – il 40,2% delle donne è sovra istruito rispetto al lavoro che svolge”. Una sottile discriminazione anche questa, spesso poco considerata che, sommata al resto, fa riflettere sulla strada da percorrere per una vera parità di condizione tra i generi.

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