L’intervento è di quelli che si definiscono di routine, un’operazione semplice. Si tratta di calcolosi renale. La diagnosi è formulata al pronto soccorso dell’ospedale San Carlo di Nancy di Roma accreditato al Servizio sanitario nazionale, a cui Claudio 70enne, si rivolge il 25 ottobre 2022, dopo una attesa estenuante di 11 ore nel reparto di emergenza del San Camillo. Ė sorpreso, Claudio, dall’efficienza del nosocomio gestito dal Gruppo Villa Maria, il cui volitivo presidente Ettore Sansavini, opera nella sanità dal lontano 1962. All’ingresso, a Claudio viene somministrato un questionario con le domande di rito, tra cui il quesito riguardante il suo status di paziente, se solvente o in regime di Servizio sanitario pubblico. Va tutto liscio, in apparenza: efficienza nelle risposte, velocità delle indagini diagnostiche, soprattutto viene subito dirottato nel reparto urologia affinché gli venga apposto uno stent per la messa in sicurezza del rene sinistro, in quanto per motivi fisiologici non è possibile rimuovere nell’immediatezza il calcolo. Così l’intervento definitivo per Claudio viene rinviato di 20, o massimo 40 giorni e qui inizia la Via Crucis. Non ricevendo la convocazione nei tempi stabiliti, il paziente cerca contatti, che si palesano subito difficili. Tra la fine di novembre e metà dicembre è uno stillicidio di chiamate, rinvii, mancanza di risposte mentre la situazione fisica diventa difficile perché aumentano i disturbi. Secondo i medici del reparto Urologia, contattati per le vie brevi, la cosa non è grave, si può tirare avanti con antidolorifici e altri farmaci. Il dolore però persiste e neanche due nuovi accessi in pronto soccorso, sono serviti a convincere i sanitari del San Carlo di Nancy della urgenza del ricovero. Analoga situazione all’ufficio ricoveri, i cui addetti riferiscono di liste di attesa interminabili e dell’impossibilità di accettare nuovi ingressi. La beffa finale si concretizza il 31 marzo 2023, data in cui Claudio viene finalmente convocato per il ricovero, dopo oltre cinque mesi. Anche stavolta però, niente da fare, perché viene di nuovo rinviato al 7 aprile, Venerdì Santo. E qui, il parossismo di insipienza raggiunge l’acme: operare Claudio è impossibile perché le sale operatorie, alle 16 risulterebbero già chiuse e il suo turno saltato per un’urgenza; se ne propone la dimissione. Alle sue comprensibili rimostranze, si decide di trattenerlo per operarlo il giorno seguente ma neanche Sabato Santo – nonostante le sfibranti attese con tanto di digiuno – avviene il miracolo. Come sempre, alle 16, orario fatidico, gli viene comunicata l’indisponibilità degli anestesisti e pertanto l’intervento salta di nuovo e Claudio viene dimesso senza alcun riferimento a un prossimo appuntamento. Una incredibile, odiosa, inaccettabile pagina nera per una struttura – il San Carlo di Nancy – che della Urologia ha fatto un punto di forza della propria offerta sanitaria. Nella apposita brochure “La calcolosi urinaria sintomi, diagnosi e cura”, al paragrafo dedicato alla terapia, è scritto in termini tassativi che “i calcoli devono essere sempre rimossi”. E non solo. Nel sito aziendale, sezione Urologia – liste di attesa, vengono riportati i tempi massimi tra i 30 e i 90 giorni. Siamo ben lontani dai cinque mesi abbondanti riservati a Claudio. C’è da augurarsi che l’iniziale domanda posta nel questionario, relativa allo status di paziente, entrato in regime di Servizio sanitario nazionale, non abbia influito sul trattamento riservatogli rispetto a un cosiddetto “solvente”. Sarebbe piuttosto grave dover constatare che l’Italia sta impercettibilmente scivolando verso un regime sanitario modello Usa. Soprattutto, ci si chiede a che punto siamo con la trasparenza, considerato che la gestione delle liste di attesa delle aziende è sottoposta a normative che ne impongono la pubblicità. (Nella foto: l’ospedale San Carlo di Nancy)

 

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