Medico di famiglia, da burocrate a dottore
Nel Lazio per i farmaci si spendono 200 milioni più dell’Emilia-Romagna. Rocca chiede un cambio di paradigma
Medici di famiglia: contro la proposta di riforma che ne vedrebbe il passaggio dalla libera professione alla dipendenza dalle Asl ne abbiamo viste di tutti i colori. A cominciare dalla lettera aperta, distribuita dai dottori in 10mila copie di varie tonalità ai cittadini di Roma, fino al colorito scontro tra i camici bianchi della Fimmg di Roma con il ministero della Salute e la Regione Lazio. Con l’istituzione regionale, la temperatura si è notevolmente alzata a causa di un intervento del presidente Francesco Rocca – che nei giorni scorsi si è espresso apertamente a favore del cambio di status dei medici – e la querelle è andata avanti a colpi di messaggi, culminati con un video del 13 febbraio, in cui dalla sua pagina social, il presidente in 26 minuti ha ribattuto colpo su colpo alle accuse dei camici bianchi contenute nella lettera. Una nota dai toni non proprio concilianti: “Medici lasciati soli, vogliono togliervi il vostro medico di fiducia” è l’affermazione più soft, per proseguire poi con la perentoria accusa di favorire i privati. “Mentre i costi per i cittadini aumentano – continua lo scritto – i fondi destinati alla sanità pubblica sono dirottati verso strutture private e ospedali lasciando i medici di famiglia a fronteggiare in solitaria i problemi dei pazienti”. Il rilievo che più lascia stupefatti si riferisce a una presunta volontà dei riformatori, secondo gli autori del volantino, di voler privatizzare il Servizio sanitario. E ce n’è per tutti, non esente il ministero della Salute, colpevole secondo la Fimmg di Roma, di voler stravolgere la tempistica delle prescrizioni e l’offerta di prestazioni, unita a una supposta volontà di “voler trasferire tutti i medici nelle case di comunità”. Proprio queste diventano l’argomento cardine della risposta di Rocca che, con intenti ecumenici, chiede una disponibilità al dialogo e “un cambio di paradigma”, alla luce di una riforma della sanità territoriale che intende superare le attuali limitazioni di accesso alle cure di base. “Non c’è privatizzazione, ma un ritorno al pubblico”, ribadisce il presidente, sostenendo che “non regge più un sistema che vede lo studio del medico di famiglia accessibile soltanto 15 ore a settimana e una rarefazione delle visite domiciliari”. All’accusa di aver burocratizzato la funzione dei professionisti, Rocca ribatte che, in regime di dipendenza pubblica dal Servizio sanitario, con funzionari e impiegati Asl a disposizione, tale condizione sarebbe di sicuro superata, consentendo ai camici bianchi di riconquistare in pieno la funzione di assistenza e cura. “In un luogo aperto ininterrottamente sette giorni su sette, a disposizione nell’arco delle 24 ore, si limitano gli accessi impropri al pronto soccorso”, assicura Rocca, che sostiene di essersi già confrontato con il segretario generale della Fimmg Silvestro Scotti, in un colloquio dai toni più concilianti rispetto alle scintille con il gruppo romano della Federazione più rappresentativa dei medici di medicina generale. E rassicura sull’azione di riorganizzazione della sanità del Lazio, che sostiene di condurre da tempo, dal massiccio piano di assunzioni avviato alla riduzione delle liste di attesa in fase di attuazione, passando per l’acquisto di apparecchiature all’avanguardia e le ristrutturazioni dei presidi e sollecitando ancora una volta un confronto sereno, scevro da pregiudizi.