Non solo medici e infermieri. Lo stillicidio di aggressioni verbali, violenze fisiche e intimidazioni psicologiche colpisce più o meno tutte le categorie di sanitari. Ė la triste realtà emersa dal confronto dello scorso 12 settembre, in cui il ministro della Salute Orazio Schillaci, insieme al sottosegretario Marcello Gemmato, ha incontrato gli Ordini delle professioni sanitarie per aggredire la insopportabile emergenza del momento. Vengono fuori così, dal racconto di Silvia Vaccari, presidente Fnopo – Federazione Ostetriche – inquietanti scenari non estranei alla sala parto, nei rari casi in cui “un evento meraviglioso come la nascita, a causa di complicanze inaspettate, si trasforma in un evento tragico”, racconta la professionista, inserendo nella triste lista di luoghi delle controversie gli ambulatori e, in particolare il pronto soccorso ostetrico che “in fase di triage vede episodi di minacce da parte di chi esige di essere assistito per primo, ignorando le priorità che noi sanitari siamo tenuti a rispettare”. Proprio dalla Federazione degli Ordini delle ostetriche, arriva una proposta concreta e innovativa, di sicuro impatto, forse più delle misure repressive: la cultura della prevenzione e buona comunicazione sul tema delle aggressioni ai danni dei sanitari, fin dai tempi della formazione universitaria. Una esperienza già avviata dal 9 settembre, con un “webinar” a cui seguiranno ulteriori momenti “da concordare con il ministero della Salute in tema di monitoraggio e prevenzione”, assicura la presidente. Insieme alle ostetriche, rivendicano misure di contenimento e difesa dalle violenze i professionisti dei dipartimenti di Prevenzione, che affidano le proprie istanze ad Aldo Grasselli, presidente della Federazione veterinari, medici e dirigenti sanitari, che in una nota fa presente quanto sia insidiosa, rispetto ai pericoli di qualsivoglia aggressione, l’attività di professionisti che operano sul territorio, spesso in aziende agricole, aree rurali prive di contatti esterni o in contesti decentrati senza le minime garanzie di protezione. “Resta inevasa la richiesta di operare in équipe quando le attività di ispezione, controllo, contrasto a illeciti o frode si svolgono sul territorio – precisa Grasselli – torniamo a chiedere al ministero i protocolli operativi da applicare nelle zone a legalità limitata o storicamente ostili ai controlli”. Tornando all’interno delle strutture sanitarie, è forte la preoccupazione dei professionisti e coinvolge sanitari di tutto il  mondo, che affidano le proprie riflessioni a Foad Aodi, presidente di Amsi e Uniti per unire, un network di medici stranieri in Italia, da tempo impegnato nella difesa delle professioni, che lancia un appello all’unità. “Non si esce dalle acque agitate senza remare tutti dalla stessa parte – scrive il professore –  è il nostro appello all’unità, di tutto il mondo sanitario e istituzionale, al fine di combattere le criticità prima che sia troppo tardi”. Non rimane indifferente all’appello il mondo manageriale della sanità che con Giovanni Migliore, presidente Fiaso, Federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere, dichiara le aggressioni ai sanitari “un attacco alla sanità pubblica” e, nel recente tavolo congiunto con gli omologhi di  Federsanità, inaugurato il 9 settembre a Bari, ha sostenuto che “non ci si può abituare alla violenza, né si possono militarizzare gli ospedali”, guardando con  interesse all’ipotesi Daspo (cure non urgenti a pagamento per i violenti, ndr) invocate anche dal segretario nazionale Ugl Salute Gianluca Giuliano. Non c’è dubbio che il problema di fondo, come ha sottolineato Fabrizio D’Alba, presidente di Federsanità e direttore generale del Policlinico Umberto I di Roma risiede nella constatazione che “siamo di fronte a un vero e proprio cortocircuito culturale di un Paese in profonda crisi” e fa leva sulla necessità di “investire in comunicazione”. Su un punto professionisti, sindacalisti, manager e operatori sono tutti concordi e lanciano un appello ormai inflazionato alla politica: “Fate presto, non c’è più tempo, occorre agire in fretta”. (Nella foto: Giovanni Migliore)

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