Nuova sede Ibsa: “Gli italiani sapranno superare la crisi”

Realtà consolidata in più di 70 paesi, la multinazionale del farmaco IBSA, con sede a Lugano, ha deciso di investire in Italia per la sua espansione, inarrestabile dal 1985. In controtendenza, in un settore in palpabile crisi, l’azienda ticinese opera in Italia con un terzo dei 1800 dipendenti, nel moderno impianto di Lodi e nella nuova sede di Roma, puntando su una strategia volta a migliorare le caratteristiche delle specialità farmaceutiche. Tale impegno è connotato da più di 60 brevetti internazionali. Ne parliamo con il presidente Arturo Licenziati, che ha inaugurato nuovi uffici nella capitale nello scorso ottobre.

Presidente, l’aumento degli investimenti toglierà il freno allo sviluppo del nostro servizio sanitario?

Indirettamente sì. I nostri investimenti non influenzano direttamente la filosofia del Servizio sanitario nazionale, che persegue diminuzione e razionalizzazione della spesa. Noi perseguiamo l’innovazione della strumentazione farmaceutica a disposizione della classe medica e dei malati. Per dare concretezza all’innovazione e far sì che si trasformi in migliori cure e migliore qualità di vita per i pazienti, sono necessarie idee e investimenti. Un paziente, un cittadino che sta meglio, che riesce a controllare meglio le proprie patologie, inciderà meno sul Servizio sanitario e, parallelamente, si avrà una minore incidenza di giorni lavoro persi. Rendere disponibili nuovi farmaci o nuove formulazioni di farmaci esistenti affinché possano esplicare al meglio le loro potenzialità, è la nostra missione. Il frutto di tale lavoro permetterà al Servizio sanitario di avere strumenti terapeutici nuovi e con migliori performance.

Su quali basi si fonda la fiducia nel nostro mercato?

L’Italia è il quarto/quinto mercato farmaceutico al mondo ed è aperto all’innovazione.

I nostri medici però debbono prescrivere, salvo casi peculiari, il principio attivo del farmaco.

Per quanto riguarda il Gruppo IBSA, le nostre specialità sono il frutto di lunghi anni di lavoro; i nostri farmaci, anche per via delle innovazioni di cui accennavo, sono ancora coperti da brevetto e di conseguenza di non facile sostituzione. Tutto ciò permette di poter ancora investire nella ricerca.

Qualità, tecnologie innovative, esigenze della persona. L’industria promuove l’umanizzazione?

L’industria investe nella ricerca e quest’ultima è finalizzata al miglioramento della salute delle persone. A tal proposito è estremamente utile e costruttivo il confronto con le associazioni dei pazienti che portano un contributo sostanziale e prezioso alla comprensione di tutti i fenomeni che sono alla base della nostra ricerca scientifica. Desidero ricordare l’introduzione della Legge 38/2010, che ha dato indicazioni precise su come dare sollievo dal dolore, disponendo sanzioni per i medici che non si attengono a quanto disposto. Questa legge ha fatto fare un passo in avanti verso una medicina che mette al centro il paziente, o meglio: la persona. Se l’industria farmaceutica e la medicina non ricercassero l’umanizzazione sarebbe un grande fallimento.

Un suggerimento ai nostri amministratori per rendere produttiva la spesa sanitaria.

Premiare l’innovazione, anche se minima, con tempi più brevi possibili per portare sul mercato il prodotto innovativo, riducendo i tempi di attesa amministrativi che alcune volte prendono quattro o cinque anni prima che la specialità possa essere registrata e venduta.

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