Ogni giorno in prima linea
Buuuu….buuuu…buuuu. è iniziato così, il 12 maggio scorso, in modo quasi giocoso, l’approccio di Wieslaw Slepakz, trentenne polacco in stato confusionale con l’ufficio informazioni del San Camillo. Quel corpulento giovane all’inizio sembrava soltanto volersi burlare degli impiegati dediti a spiegare ogni giorno a migliaia di visitatori, la complessa geografia dell’ospedale romano. Ben presto però gli innocui segnali di un disagio mentale si sono trasformati in una furia scatenata che ha investito l’ufficio relazioni con il pubblico poco distante, trasformando in un incubo quella che era iniziata come l’innocente intrusione di uno spostato. Cercava il pronto soccorso e non capiva come trovarlo. Chiedeva in modo violento spiegazioni, col sudore che gli imperlava la fronte e la bava che gli colava dalla bocca, forse in preda a una crisi di astinenza, barricandosi nell’angusta stanzetta e impedendo a chiunque di muoversi. A fatica, alcune guardie giurate che avevano notato qualcosa di irregolare e l’assistente capo del posto di polizia, sono riusciti dopo molti sforzi ad averla vinta ma il ricordo resterà impresso a lungo in chi si è trovato impotente di fronte al pericolo. Storie di persone in prima linea, onesti operatori che con il proprio lavoro – spesso misconosciuto e sicuramente non compensato abbastanza – non possono permettersi di sbagliare o di avere paura, di manifestare emozioni o esprimere a viso aperto disappunto, quando questo è inevitabile. Storie di chi quotidianamente si trova di fronte una parte di mondo sicuramente svantaggiata, che vive piccoli o grandi drammi e a cui non si nega mai un sorriso di incoraggiamento, una parola di conforto, un aiuto concreto. Risale allo scorso dicembre un’altra storia di aggressione, questa volta ai danni di alcuni medici del San Filippo Neri colpevoli, secondo la famiglia di uno sfortunato ragazzo, di aver sbagliato l’intervento operatorio sul loro congiunto. Per non parlare di medici e infermieri del pronto soccorso, che pagano lo scotto di scelte scellerate – quali il taglio di posti letto negli ospedali di Roma e provincia – o degli operatori del 118, capri espiatori di un sistema la cui organizzazione risente pesantemente della carenza di risorse umane e strutturali. O degli impiegati allo sportello dei poliambulatori, costretti a comunicare a un’utenza sempre più (comprensibilmente) inferocita, improponibili appuntamenti per visite ed esami. Follia o meno, bisogna ricostruire un clima di fiducia nella sanità ma questo, oltre che con l’occhio al pareggio di bilancio, si costruisce soltanto con l’occhio alla persona.