Pnrr, una boccata d’ossigeno per la sanità territoriale ma non per tutti. Le copiose risorse Ue che, in ossequio alle disposizioni contenute nei decreti di riorganizzazione del ministero della Salute, ridisegnano presidi e ambulatori, in realtà cancellano storici servizi, tra cui i consultori familiari. Tra case, ospedali di comunità e centrali operative territoriali – come il decreto 77 del 2022 stabilisce – non sembra ci sia posto per queste essenziali strutture al servizio della donna, dei bambini, degli adolescenti e della famiglia, nonostante nello stesso provvedimento ne sia ribadito il “ruolo fondamentale”, che presupporrebbe l’intangibilità di tale struttura, distinta dalle case di comunità. Nei fatti però non è così. L’economia aziendale, unita ai bilanci non proprio floridi delle Asl e la carenza di operatori, contribuisce alla diaspora di queste strutture, nate grazie alla legge 405 del 1975, con grande beneficio per la salute della donna e del bambino, il benessere della famiglia, l’assistenza agli adolescenti ma in realtà in numero carente rispetto ai bisogni della popolazione e alle previsioni normative. Nel Lazio i consultori sono 135, la metà di quelli previsti: dovrebbe esserci un consultorio ogni 20mila abitanti ma  secondo i dati Istat la nostra regione, con 5,7 milioni di abitanti, ne conta solo uno ogni 40mila abitanti. E ora la riorganizzazione della sanità territoriale, legata ai fondi del Piano di ripresa e resilienza, ne vede trasformata la ragione sociale, con riduzione delle prestazioni alle sole specialità pediatriche e il dimezzamento dell’offerta di ostetricia e ginecologia, per lasciar spazio all’inglobamento nelle case di comunità, con perdita della funzione di ascolto, educazione sanitaria, accoglienza e presa in carico delle assistite, nel rispetto della riservatezza che, considerata la natura delle prestazioni, sarebbe necessaria e, nelle promiscue case di comunità non è certo garantita. Ci sono già concreti esempi dell’avvenuta trasformazione: le prime avvisaglie dello smantellamento sono partite nella Asl Roma 2, che amministra presidi sanitari di una larga parte di Roma sud-est, dall’Eur Ardeatino fino al Casilino Prenestino e dove la riorganizzazione dei consultori di via Iberia e via Denina, ha messo in allarme le donne che, riunite in comitato, si oppongono da tempo al declassamento delle strutture. Stessa sorte per lo storico presidio di via Monza, destinato a diventare casa di comunità – con paventata contrazione dell’offerta di servizi per la donna e la famiglia – e per il consultorio largo Sette Chiese, al centro della Garbatella, che ha visto molti dei servizi essenziali trasferiti nel presidio di via dei Lincei che, sebbene non lontano, ha creato comunque maggiori difficoltà nell’accesso ai servizi, la cui offerta risente del maggior afflusso di utenza. Da ultimo, e non certo per importanza considerata l’area sensibile in cui è collocato, è il consultorio di Corviale, appartenente alla Asl Roma 3, in cui sono in corso lavori di ristrutturazione che metteranno in seria difficoltà l’attuale assetto, ponendo al centro dell’assistenza la casa di comunità, nucleo centrale della riforma in salsa europea. Forte è la mobilitazione delle donne e dei residenti per salvare la struttura. Un bacino di utenza ampio, da Casetta Mattei a Ponte Galeria, passando per il Portuense fino a Piana del Sole.

 

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