Punti nascita: “No alle nozze con i fichi secchi”

Un accordo importante per la salute delle mamme e dei bambini, quello siglato in conferenza Stato-Regioni il 16 dicembre 2010. Il progetto “Linee di indirizzo per la promozione, il miglioramento della qualità, la sicurezza e l’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione dei tagli cesarei” ha messo in moto, nel Lazio, un processo di riconversione e razionalizzazione che, causa gli annosi problemi della sanità regionale, stenta a decollare. Il documento, in dieci punti sintetizza gli obiettivi da perseguire, tra cui uno dei principali è la riduzione dei tagli cesarei inappropriati. Ulteriori linee di indirizzo riguardano la soppressione dei punti nascita con meno di 500 parti l’anno, la formazione degli operatori, l’accreditamento delle strutture private, la carta dei servizi del percorso nascita, l’integrazione ospedale/territorio, il controllo del dolore nel travaglio e nel parto, il monitoraggio e valutazione delle attività e il loro coordinamento attraverso il comitato permanente del percorso nascita, organismo istituito in seno al ministero della Salute. Secondo quanto sostengono molti ginecologi, il “decalogo” ministeriale è un ottimo strumento che corre il rischio di restare sulla carta causa le scarse risorse a disposizione. Il turn-over che sta mettendo in ginocchio la sanità regionale, nel caso di una ristrutturazione tanto complessa quale quella attuata nei punti nascita, rischia di vanificare qualsiasi sforzo. Secondo il segretario della Società italiana di Ginecologia e Ostetricia Herbert Valensise “in un territorio complesso quale quello del Lazio, con una grande concentrazione di residenti nella capitale e una popolazione sparsa in punti meno accessibili è necessario integrare i punti nascita così da favorire centri magari meno vicini alla propria residenza ma più sicuri e funzionali”. Recenti episodi di cronaca hanno richiamato l’attenzione sull’assistenza al parto e sicuramente la redistribuzione delle risorse è uno dei nodi fondamentali del problema. Non secondaria è la perplessità di molte gestanti della provincia che guardano con preoccupazione alla riconversione in atto, con la possibilità di dover rinunciare all’ospedale e al personale sanitario di fiducia. Da parte ministeriale si assicura che il progetto  è stato pensato e attuato con il contributo delle più qualificate associazioni di ginecologi italiani, con un’attenzione non solo al parto  ma all’intero “Percorso nascita”. In ogni caso, l’eventuale chiusura di reparti maternità – assicurano dal dicastero – avverrà per gradi e in base alle esigenze dei territori.

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