Recup Lazio, il calvario della prenotazione

Recup Lazio: è cassa integrazione per duemila lavoratori. Come raccontato da Carlotta, moglie di un operatore su sireneonline.it di luglio, una settimana al mese, a rotazione, gli operatori di call-center abbandonano le loro postazioni e, insieme a queste, migliaia di cittadini che tentano di mettersi in contatto con il servizio. Si compone l’80 33 33 ma il più delle volte la risposta è la stessa: “gli operatori sono momentaneamente occupati, vi preghiamo di riprovare più tardi”. “Sono mesi che i cittadini non riescono a prenotare visite e prestazioni sanitarie – tuona Corrado Stillo, responsabile dell’Osservatorio per la tutela e lo sviluppo dei diritti dell’associazione Giuseppe Dossetti – componendo il numero risponde un disco che subito consiglia di richiamare. Così si è costretti a rinunciare alla visita, incentivando le strutture private a pagamento”. Secondo Giuseppe Scaramuzza, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato Cittadinanzattiva “il Recup del Lazio è un servizio che gran parte delle regioni ci invidia ma che nella nostra regione si sta facendo morire”. Tutto nasce alcuni mesi fa da un contenzioso con la Asl di Frosinone, che non rinnova l’appalto alla cooperativa Capodarco che gestisce il servizio, costringendo alla cassa integrazione i primi 230 lavoratori cui seguiranno tutti gli altri. Racconta sempre Carlotta che un operatore Recup, per 38 ore settimanali sfiora a malapena i 1000 euro di stipendio, con la cassa integrazione arriva a 800. Il debito che la Regione deve saldare aumenta sempre di più. Sorge spontaneo un interrogativo: perché non si è seguita la strada dell’assorbimento dei lavoratori negli organici di Asl e ospedali qualche anno fa, quando lo reclamavano le organizzazioni sindacali e ci sarebbe stata la possibilità per farlo?

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