Relitti abbandonati nella sanità
in tempesta
Tutti pensavano, molti sapevano, qualcuno andava ripetendo da mesi che sarebbe successo: il Forlanini come l’ex Regina Elena, abbandonato a se stesso e occupato dai senza casa. Occupazione lampo, certamente, ma indicativa di come tanti beni pubblici- ospedali, ex caserme, scuole e tentativi di centri direzionali mal riusciti – siano lì vuoti e in molti casi pericolanti, a sbattere in faccia a un Paese allo stremo per tasse, tagli e debito in costante crescita, la propria incapacità di governarsi e programmare. Vuoto di casse e di idee. Anzi no. Per il San Giacomo, chiuso il 28 ottobre 2008, tre mesi dopo una complessa ristrutturazione per cui sono state impegnate cospicue risorse, di idee ne sono state sbandierate fin troppe: riconversione in presidio assistenziale polifunzionale (?), residenza sanitaria assistenziale, dipartimento di salute mentale, perfino sede di corsi d’arte e artigianato. A suffragio di tali progetti è il decreto 87 firmato il 18 dicembre 2009 dall’allora commissario alla Sanità Guzzanti, che entro 60 giorni dalla sua emanazione avrebbe dovuto dare il via ai cantieri nell’ex ospedale di via Canova, operazione già finanziata. Dei lavori nemmeno l’ombra, della riconversione non si parla più, sulle risorse stanziate meglio non indagare. E le strumentazioni all’avanguardia, acquistate per i reparti ammodernati? Ci consolerebbe sapere che almeno queste sono state riutilizzate nei Paesi in via di sviluppo, piuttosto che marcire nel nosocomio sbarrato. Neanche su questo abbiamo certezze. Così come per il Forlanini semi deserto, con pochi posti letto, personale al lumicino e pezzi di intonaco che vengono giù inaspettatamente. In Regione giace un progetto molto articolato che, mantenendo la vocazione socio-sanitaria della struttura, punta sulla creazione di residenze sanitarie assistenziali, ovvero lungodegenze a basso costo di gestione ed elevata domanda da parte degli utenti e altri servizi necessari alla collettività. Per l’ex sanatorio sarebbe la salvezza, per i cittadini il segnale di una sanità regionale attenta alle loro esigenze. L’ospedale ha bisogno di capitani coraggiosi; a quanto pare non è sufficiente qualche eroe nell’equipaggio. Soprattutto, un’organizzazione sanitaria che deve necessariamente puntare sulla medicina territoriale non ha bisogno di faraonici progetti, defatiganti gruppi di studio, estemporanee consulenze o similari per raddrizzare un po’ l’asticella. Sarebbe sufficiente guardare nel giardino di casa propria.