“Roma non sarà una piccola Ilva”

Scure sulla sanità: è scontro frontale, levata di scudi generale. I sindacati hanno indetto una giornata di mobilitazione il 22 dicembre e i rappresentanti della sanità privata hanno rivolto un appello al presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio. Le stesse istituzioni non stanno a guardare, il sindaco Gianni Alemanno, garante della salute dei cittadini, ha affermato “nel Lazio convivono grandi sprechi e grandissime strutture. L’intervento commissariale non confonda le situazioni”, in sintonia con il senatore Domenico Gramazio che aveva tuonato contro Enrico Bondi “un ospedale non è una centrale del latte e Roma non sarà una piccola Ilva”. Si attendono ora le decisioni del tavolo tecnico convocato il 3 dicembre a lungotevere Ripa ma la situazione appare gravissima. Ci sono da recuperare più di 800 milioni di fondi bloccati da mesi, in seguito a cinque verifiche trimestrali dei dicasteri della Salute ed Economia, le cui risultanze hanno dato costantemente esiti negativi.

Il piano di Bondi parte dai decreti 348 e 349 della scorsa settimana: taglio del 7% del budget per le strutture private e religiose, soppressione di 1.963 posti letto, verifica sulla riconversione di 24 ospedali regionali prevista dal decreto 80 del 2010, soppressione di ospedali con meno di 80 posti letto e bacino di utenza tra gli 80 e i 150 mila abitanti, blocco del turn-over e del rinnovo dei contratti a termine, lasciando inoccupate circa 5000 persone. Un’ecatombe per il diritto alla salute, rivendicato nell’appello inviato da Aris e Aiop (organizzazioni della sanità privata) alle massime cariche dello Stato. E non basta, sotto la mannaia degli economisti che governano la sanità, quattro importanti ospedali romani: il Cto, l’Eastman, il Forlanini, il San Filippo Neri e forse l’Oftalmico. Si tratta ora di capire come contrastare le sentenze della magistratura amministrativa favorevoli al mantenimento in vita dei nosocomi (Bracciano e Frascati), attendere il giudizio su altri (Subiaco, Anagni, Monterotondo) e arginare le inevitabili proteste della collettività, sfiancata dal continuo affievolimento di diritti costituzionalmente garantiti, almeno a parole.

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