Riordino della sanità territoriale, una sfida che il governo Meloni deve affrontare con decisione, quale punto nodale della riorganizzazione dell’assistenza e della corretta allocazione delle risorse. Continua il nostro dialogo con Raffaele Cerbini (nella foto), medico chirurgo, formazione manageriale all’Università Bocconi, ricercatore, specializzato in management di sanità pubblica, responsabile del dipartimento Sanità dell’Umbria di Fratelli d’Italia, che dopo averci illustrato i provvedimenti dell’esecutivo in tema di risorse e di liste di attesa, affronta l’argomento relativo al riordino dell’assistenza territoriale e domiciliare, partendo da quanto realizzato dai precedenti governi. C’è qualcosa che salverebbe, tra i provvedimenti dei precedenti governi? Il decreto ministeriale numero 70 del 2015 “Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera” – ministro della Salute all’epoca era Beatrice Lorenzin – e il decreto numero 77 del 2022 “Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale” a firma del ministro Roberto Speranza, sebbene siano provvedimenti emanati da governi di sinistra, sono però condivisibili nella logica strategica a medio e lungo termine. La stessa responsabile Sanità del Pd, Marina Sereni, ha riconosciuto errori del passato… Ora è necessario cercare di colmare quel vuoto nei servizi sanitari, che si è progressivamente creato per l’inerzia politica e i tagli di 37 miliardi alla sanità nel decennio 2010-2019, senza dimenticare gli sconquassi causati dalla pandemia tra il 2020 ed il 2022.  In realtà, quest’anno il finanziamento del fondo sanitario nazionale raggiunge il suo massimo di 134 miliardi di euro. Per i prossimi tre anni sono stati previsti ulteriori 12 miliardi con un investimento di ben 20 miliardi di euro in più rispetto al periodo precedente la pandemia, permettendo una rivitalizzazione del Servizio sanitario nazionale rispetto alle sue origini di 45 anni fa, quando non vi erano tecnologie e farmaci innovativi e pertanto molto costosi, per il cui utilizzo sono necessari nuovi modelli organizzativi. Ci sono due emergenze da colmare: il personale e la medicina territoriale. Cosa proponete? Il governo ha già iniziato ad agire programmando lo sblocco del tetto di spesa al personale sanitario, prevedendo sia il rinnovo dei contratti del personale sanitario, sia il potenziamento dell’assistenza territoriale, mediante l’assunzione di nuovo personale sanitario, anche in deroga al tetto di spesa, con un investimento di 250 milioni di euro per il 2025 e 350 milioni di euro a partire dal 2026. Tali risorse sono reputate insufficienti dall’opposizione. Su cosa si deve puntare? Sulla riorganizzazione virtuosa dei processi di cura a domicilio, in particolare per le patologie croniche, avvalendosi della telemedicina per raggiungere e monitorare i pazienti. Il governo ha recentemente aggiornato il piano nazionale delle cronicità, che mira a migliorare l’accesso alle cure mediche e ha lo scopo di realizzare una transizione della gestione della cronicità. Bisogna puntare su un modello di rete che valorizzi sia il ruolo specialistico, sia tutti gli attori della assistenza primaria, che raggiunga i numerosi cittadini che hanno raggiunto ‘l’età grande’ e nella quale esistono difficoltà logistiche, soprattutto nelle aree più disagiate. (2 – continua)

 

 

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