Non sono bastati gli 11 milioni stanziati dal governo, per risanare l’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) Santa Lucia di Roma. Il contenzioso, che va avanti ormai da due decenni, è legato a un problema di remunerazione delle prestazioni della struttura accreditata dalla Regione Lazio, i cui rimborsi non sarebbero adeguati alla complessità delle attività svolte dagli specialisti della neuroriabilitazione. Il tutto è riassunto in una lettera inviata dalla proprietà – in modo del tutto irrituale sostengono i sindacati – agli 800 dipendenti che vedono seriamente compromesso il proprio posto di lavoro e sono sul piede di guerra. In sintesi, il direttore generale della Fondazione Santa Lucia Edoardo Alesse spiega nella nota che per le “prestazioni di neuroriabilitazione ospedaliera di alta specialità, indicate con il codice 75 – a favore di pazienti con severe lesioni del sistema nervoso – la struttura riceve dalla Regione una remunerazione che è pari a quella di strutture che svolgono attività di recupero e riabilitazione funzionale, indicate con codice 56”. Dietro al linguaggio criptico si nasconde una verità lapalissiana: nessuna amministrazione regionale avvicendatasi in via Cristoforo Colombo è riuscita a districare una matassa tanto ingarbugliata. Tanto che l’onere della risposta, riservato all’attuale presidente del Lazio Francesco Rocca, vede l’ente territoriale all’attacco, con affermazioni che ben chiariscono il nodo della questione. “La Regione Lazio ha sempre remunerato tutte le prestazioni fornite dalla Fondazione Santa Lucia sulla base delle tariffe nazionali vigenti, non derogabili per le regioni in piano di rientro, valide su tutto il territorio nazionale, con le quali sono remunerati non solo il Santa Lucia ma tutti i soggetti privati accreditati”. Ovvero il contenzioso è sulle cifre e i numerosi ricorsi intentati negli anni dalla Fondazione, in realtà hanno sempre visto quest’ultima vincente sulla Regione ma l’amministrazione guidata da Rocca, quale pesante eredità ricevuta, risulta comunque in credito nei confronti dell’Istituto di via Ardeatina. Così, dopo vari tentativi di conciliazione, la proprietà comunica ai lavoratori  “di voler cedere l’attività ad altro soggetto industriale attraverso una procedura pubblica e trasparente, decisa e vigilata dal Tribunale di Roma”. Una decisione che cozza contro la proposta di amministrazione straordinaria avanzata dalla Regione, che secondo i proponenti avrebbe garantito “la continuità assistenziale mantenendo elevati standard di qualità e professionalità”. Preoccupazione è stata espressa dal ministro della Salute Orazio Schillaci, che ha sottolineato l’interesse del governo a “salvaguardare un’eccellenza” al cui salvataggio l’esecutivo ha contribuito con il vano stanziamento di undici milioni. Sul piede di guerra i sindacati, che in un infuocato comunicato hanno individuato la nota inviata ai dipendenti quale “illegittima disintermediazione, volta a proporre scelte unilaterali espressione di una strada sciagurata”. E annunciano la mobilitazione con un presidio e una fiaccolata, invocando l’intervento del ministero dell’Industria e del Made in Italy, ai cui vertici chiedono una immediata convocazione. (Nella foto: dipendenti in presidio davanti alla direzione)

 

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