Puntuale come il panettone, implacabile come una cartella esattoriale, arriva l’ennesimo rapporto Gimbe sullo stato della sanità pubblica e subito si alimentano le polemiche, nell’individuare questo o quel responsabile di tanto dissesto. Più volte abbiamo pubblicato i dati della stessa Fondazione Gimbe, dai quali emergerebbero precise responsabilità sul taglio o il mancato investimento, pari a una cifra di 37 miliardi, deliberazioni assunte da un responsabile ben individuato: tutti i governi che si sono succeduti dal 2012 al 2019. Lo facciamo anche questa volta, senza rinunciare, per amore di obiettività, a rendere noti gli allarmi lanciati dalla comunità scientifica e dallo stesso ministro della Salute, Orazio Schillaci, che chiede più investimenti per il Fondo sanitario nazionale, fino a raggiungere il 7% del Pil, un punto in meno rispetto ai nostri vicini europei. Tra le autorevoli e preoccupate voci, in difesa della sanità pubblica, c’è quella di Ermanno Greco, presidente della Società italiana della riproduzione (Sidr), che evidenzia l’importanza della prevenzione, quale caposaldo  per contrastare tempestivamente e con successo malattie insorgenti e ottimizzare i percorsi terapeutici. “Allarmano i risultati che emergono dal settimo Rapporto Gimbe sul Servizio sanitario nazionale, che indicano un crollo della spesa riservata all’attività di prevenzione, che rende pericolosamente debole il nostro Servizio sanitario nazionale” afferma il professore. I dati forniti dalla Fondazione bolognese (Gimbe Evidence for Health) che studia la sanità in base alle evidenze della medicina, mettono in luce come, rispetto al 2022, nel 2023 la spesa per i “Servizi per la prevenzione delle malattie” si sia ridotta di 1.933 milioni di euro (-18,6%). Un vulnus che è sempre stato presente nella sanità pubblica e lo sanno bene i direttori dei dipartimenti di Prevenzione – individuati dalla legge 833 del 1978 come tutori della salute pubblica, ambientale, alimentare, del lavoro e compagnia cantante – che hanno visto destinata al proprio ambito una dotazione di risorse assolutamente insufficiente rispetto ai compiti assegnati. Numerose e ormai ridondanti competenze, attribuite da una riforma sanitaria approvata 46 anni fa, mutuata dal  cosiddetto “Modello Beveridge”, elaborato negli anni Quaranta del secolo scorso, tempi del tutto diversi dagli attuali. Quanto lamentato da Greco, riferito a una “prevenzione che continua a essere marginalizzata, considerata differibile, con una visione miope e semplicistica, che ha rischiose ricadute nel tempo a danno dei pazienti e della collettività in generale”, ha ripercussioni negative in particolare sulle tecniche di procreazione medicalmente assistita, efficaci soprattutto se associate alla diagnosi genetica preimpianto. “Anche nell’infertilità maschile e femminile – precisa l’esperto – la prevenzione trova poco spazio, come nel caso degli accertamenti sulla riserva ovarica femminile, che vengono effettuati soltanto quando la coppia ha problemi di fertilità”. Per questo il professore, alla luce dei dati del Rapporto Gimbe, sostiene che gli stessi devono “spingerci a ripensare la sanità in una prospettiva più ampia di intervento” con maggiori risorse per prevenzione e ricerca scientifica, “garantendo ai cittadini la massima tutela della salute”, con un ruolo primario della comunicazione sanitaria pubblica.

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