Taglio della spesa, la Pa è la più penalizzata
Blocco di contratti e stipendi dei dipendenti pubblici: il giudice del lavoro lo mette in discussione. Con ordinanza del 27 novembre 2013, è stata infatti sollevata la “questione di costituzionalità”, per dirla in termini giuridici, per cui i decreti 78 del 2010 e 122 del 2013 – che tra l’altro hanno bloccato contrattazione e stipendi fino al 31 dicembre 2014 – non sarebbero conformi al dettato costituzionale e fortemente discriminatori nei confronti del pubblico impiego. A dar man forte a tale decisione, la sentenza 223 del 2012, con cui la Corte costituzionale aveva demolito la trattenuta tra il 5 e il 10 per cento sugli stipendi più alti, oscillanti tra i 90 e i 150 mila euro annui. Austerità e contenimento della spesa pubblica quindi non più e non solo a scapito di funzionari e impiegati della Pa. Da Berlusconi a Letta passando per Monti, tali scelte secondo Fedir Sanità – sindacato della dirigenza non medica – hanno indebolito una intera categoria e sono fortemente discriminatorie nei confronti dei dipendenti del pubblico impiego. Per l’organizzazione il protrarsi di tali misure ha agito con tagli lineari e indiscriminati con vincoli sul turn-over e tetti sulla spesa storica misure, secondo Fedir “che rischiano di bloccare il processo di innovazione di cui si avverte un grande bisogno”. Secondo il sindacato, il vero problema è da ricercare in una classe dirigenziale inadeguata al compito, distrutta dall’immissione massiccia di incarichi cosiddetti “fiduciari”, di soggetti scelti dalla politica, i cui rappresentanti hanno emarginato figure professionali competenti optando per persone prive di requisiti e capacità, collocate nei posti chiave. Una Pa dequalificata quindi, con l’aggravio della poco oculata distribuzione delle risorse umane e finanziarie. Per non parlare del mancato riconoscimento del merito sulla base di valutazioni efficaci e soprattutto oggettive, effettuate da organi terzi e competenti e non dal politico travestito da manager. Altro nodo dolente l’erogazione a pioggia dei servizi pubblici, senza capire quali debbano essere effettivamente privatizzati, sotto il controllo efficace dello Stato e quali, invece debbano essere da questo garantiti direttamente. Infine, il mancato snellimento della giungla legislativa e regolamentare con appesantimento delle procedure, fonte di ingiustizie e contenziosi a detrimento dell’interesse collettivo. Non confortano le parole del ministro della pubblica amministrazione Gianpiero D’Alia, che rassicura sul rinnovo dei contratti nel 2015 specificando però che si darà spazio soltanto all’aspetto giuridico-normativo. Unica speranza la Conferenza delle Regioni, da cui arriva il monito a stipulare nuovi contratti, tra la perplessità dei sindacati che chiedono precise risorse economiche.