Di commenti, ricordi, rimpianti e rilievi critici, sulla scomparsa di Silvio Berlusconi, ne sono stati espressi a iosa. Dalle 9 e 30 del 12 giugno, data della sua morte, è stato un susseguirsi di interventi e comunicazioni di cordoglio da ogni parte d’Italia e non solo, pressoché a reti unificate. Puntuali, sono arrivati messaggi da alcuni esponenti della Regione Lazio, dal presidente Francesco Rocca all’assessore all’Urbanistica Pasquale Ciacciarelli, passando per il presidente della commissione Bilancio della Pisana Marco Bertucci. Unanime il riconoscimento di innovatore della politica e su questo, comunque la si pensi, non c’è alcun dubbio. Per Francesco Rocca “Se ne va un colosso della innovazione in tutti i settori in cui ha operato, protagonista per oltre trent’anni della politica italiana”. Commosso il ricordo dell’avvocato ai vertici del Lazio, che porgendo le condoglianze alla famiglia e alla comunità politica e umana, non dimentica di rammentare il sostegno del governo per il terremoto dell’Aquila, disastroso evento in cui Rocca operò come capo della Croce Rossa. Si unisce al giudizio Marco Bertucci, presidente della commissione Bilancio alla Pisana, che nella scomparsa di Berlusconi vede la “fine di un pezzo di storia d’Italia, Paese che ha rivoluzionato”. E ora si pone il problema della eredità politica che, secondo l’esponente di Fratelli d’Italia, “sarà degnamente raccolta”. Mette in evidenza la lungimiranza politica del Cavaliere, l’assessore Pasquale Ciacciarelli, ponendo in rilievo che l’imprenditore “Intuì immediatamente la crisi dei partiti tradizionali nel 1993, una criticità che “guidò il passaggio alla cosiddetta ‘Seconda Repubblica’, da cui “il suo capolavoro politico con la nascita di Forza Italia e del modello del centrodestra”. E nella sua biografia, è ben evidenziato il profilo di costruttore con l’edificazione di “Milano 2”, un miracolo realizzato in zona non proprio adeguata al boom edilizio. Come emerge incondizionatamente il ruolo di creatore della televisione commerciale e di editore. Più defilati, i commenti su quanto fu realizzato in sanità, durante i suoi governi, che ha guidato quattro volte a fasi alterne, tra il 1994 e il 2011. Per citare sinteticamente, alcune delle leggi licenziate in quel periodo: la normativa sul divieto di fumo nei locali pubblici, proposta nel 2003 dal ministro Girolamo Sirchia, l’istituzione dell’Agenzia italiana del farmaco, l’approvazione delle norme sulla terapia del dolore – legge 38 del 2010 – gli standard relativi ai livelli essenziali di assistenza (Lea) nel 2001 e le contestate restrizioni rispetto alla pillola abortiva Ru486, che facilita l’intervento riducendo i costi dei ricoveri. Dopo l’epidemia da Sars, propugnò l’istituzione del Centro nazionale per la prevenzione delle malattie che, a quanto pare, con l’epidemia da Covid non ha funzionato. Intuì ulteriori azioni di grande visibilità in favore dei cittadini: la farmacia dei servizi, che non si limita soltanto alla vendita di specialità ma offre prestazioni sanitarie di base; così come sostenne la concessione gratis di protesi dentarie per i pensionati a basso reddito. “Dentiere per tutti” fu lo slogan lanciato nel 2014, così popolare da far dimenticare la concezione liberale della sanità del magnate, con la competizione pubblico/privato e il sistema integrativo, sostenuto da appositi contributi, da affiancare al Servizio sanitario nazionale. Per finire sulla sanità ai tempi del Cavaliere, non si può sottacere il riordino dei punti nascita, atto a contrastare criticità al momento del parto e la riorganizzazione del pronto soccorso, con spostamento dei codici bianchi e verdi – i meno gravi – alle cure delle strutture territoriali. Un segno forte, che ha creato duri contrasti, è da individuare nel ridotto finanziamento alla sanità pari a 12 miliardi, negli ultimi tre anni del suo esecutivo. A cui è seguito, nei successivi 10, il taglio di ben 37 miliardi per la sanità pubblica. Una volontà non certo in direzione di un potenziamento del Servizio sanitario nazionale.

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