Potrebbe essere un bel regalo di Natale, per gli abitanti di Rebibbia-Ponte Mammolo, sapere che Villa Tiburtina ben presto riaprirà e sarà messa a disposizione dei residenti che necessitano di assistenza sanitaria. Un auspicio che sembra essersi concretizzato alla fine di ottobre quando inaspettatamente, in molti hanno potuto constatare un timido avvio delle opere di ristrutturazione del complesso di via Casal de’ Pazzi, aperto poco prima del 1970 come sede distaccata del Policlinico Umberto I, dedicato alle diagnosi e alla riabilitazione delle malattie polmonari.  Disponeva della Fisiopatologia respiratoria, della Neurologia e Neuropsichiatria, della Pediatria, di un reparto di Chirurgia ben organizzato – che sopperiva alla mancanza di un grande ospedale nelle vicinanze – e di numerosi ambulatori, indispensabili per snellire le liste di attesa delle strutture pubbliche più inflazionate. L’edificio era entrato nella disponibilità dell’Università Sapienza di Roma a fine anni Sessanta, attraverso la fondazione Eleonora Lorillard Spencer Cenci. I tagli progressivi operati dalla Regione Lazio, negli anni, hanno contribuito allo smantellamento della struttura iniziato nel 2008 anno in cui fu soppresso l’ambulatorio della Asl Roma B che qui aveva ricavato un presidio. Una vicenda annosa che inizia nel 2020, in piena esplosione Covid quando in molti, vedendo quel presidio sanitario chiuso da tempo, decidono di riappropriarsi dell’inalienabile diritto alla salute. Da lì, una serie di mobilitazioni, petizioni, assemblee, presidi sotto la sede della Asl di zona, la Roma 2. Tanta determinazione e molta pazienza, nei confronti di istituzioni – specie l’assessorato regionale della precedente amministrazione – sorde a ogni richiesta. Tanto che i cittadini hanno compiuto un atto rivoluzionario: se la sanità non arriva alla collettività, sarà la collettività ad arrivare alla sanità, hanno pensato tutti insieme. Detto fatto. In breve tempo, è nato lo “Sportello Mammut”, un nome a memoria degli animali preistorici i cui resti furono ritrovati in zona negli anni Ottanta e una sorta di medicina di prossimità garantita attraverso l’apporto di volontari, che hanno fatto da catalizzatore di tutte le esigenze sanitarie dei cittadini. Segnalazioni, campagne di educazione sanitaria nel vicino Casale Alba e nelle scuole di zona, controllo del rispetto dei codici di priorità e lotta alle liste di attesa, alle agende chiuse nei Cup e assistenza domiciliare, sociale e psicologica. In sintesi: un aiuto dal basso, prezioso per chi è rimasto senza alternative. E ora quel camion dentro Villa Tiburtina ha riacceso le speranze, senza smorzare la voglia di combattere e per arrivare presto al risultato atteso: la riapertura di quella che tutti consideravano “una clinica bella ed efficiente”, chiusa da chi per anni ha visto la sanità soltanto con la lente dell’economia e non del diritto alla cura per tutti.

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