Volontari in sanità: da più di 40 anni, presenza essenziale e discreta, hanno assunto il nobile compito di essere vicini a chi soffre – dalle azioni più semplici della quotidianità alle metodiche per umanizzare l’assistenza – garantendo in ospedale, nelle Rsa, nelle cliniche, nelle strutture riabilitative, un sostegno ineguagliabile. In principio, spinto dalle lotte sindacali di fine anni Settanta – che all’epoca rischiarono di mettere fuori gioco i servizi essenziali ai malati – e sostenuto dall’Associazione dei medici cattolici, un gruppo di volontarie dell’ospedale San Giovanni di Roma, gettò il seme di quello che sarebbe stato un proficuo raccolto: la nascita dell’Arvas, inizialmente associazione romana volontari assistenza ospedaliera, divenuta in un baleno regionale e oggi leader nel campo dell’accudimento ai pazienti e della umanizzazione delle cure. Mille associati sul campo nelle 27 strutture di Roma e del Lazio e un presidente, Silvio Roscioli, consapevole del ruolo e determinato nell’azione, che oltre a imprimere una connotazione sempre più improntata all’empatia, all’ascolto, al dialogo e alla comprensione dello stato d’animo del malato, si misura quotidianamente con le incongruenze della burocrazia e qualche inspiegabile chiusura alla collaborazione da parte di alcuni, per fortuna pochi, presidi sanitari. Arvas è comunque una realtà presente e autorevole del volontariato ospedaliero, tanto da assumere una dimensione non solo regionale ma nazionale, dopo la bufera pandemica, con le immaginabili conseguenze, manifestatesi principalmente con la crisi delle vocazioni. “Un periodo terribile – ricorda Gemma Ferrigni, responsabile Arvas all’ospedale Sant’Eugenio di Roma – in cui non potevamo avvicinarci ai reparti ma, finita la bufera siamo stati i primi a rientrare”. Lo racconta con una punta di orgoglio, che mette in luce lo spirito con cui affronta quel contatto prezioso fatto di ascolto, empatia, vicinanza e l’importanza del gesto, dall’ausilio nel risolvere i problemi pratici, alla sintonia con la psicologia del malato. Le fa eco Anna Rita Fornari, volontaria nel reparto cardiologia del nosocomio dell’Eur, che rivela: “Ė un rapporto che arricchisce principalmente noi e spesso, instauriamo un legame che si avvicina molto all’affetto che il paziente nutre per i parenti”. Si, perché il volontario è presente in orari particolari quando ai familiari è inibito l’ingresso e, insiste Gemma “il momento più bello è il buongiorno al mattino, che non è un rituale saluto ma lo stimolo da cui parte impetuoso il racconto della nottata, un momento difficile per chi non è in salute”. Un rapporto solido con i pazienti, con la direzione ospedaliera e con gli operatori sanitari, che guardano ai volontari come validi collaboratori dalla ferrea preparazione, dopo corsi di formazione rigorosi. Entro breve, dopo l’estate, partirà la prossima edizione. “Volontari cercasi” è l’annuncio di un accattivante volantino che sarà distribuito in tutti i luoghi di aggregazione. Un invito a chi sente il desiderio di aiutare, per abbracciare un’avventura che, come sostiene Ada Monaci, volontaria Arvas al pronto soccorso del San Giovanni “spalanca un mondo e apre al rapporto con infinite realtà”. E insieme a Renato Chiesa, si sofferma sul particolare impegno che richiede la prima accoglienza, dalle incombenze pratiche all’ascolto e alla comprensione di persone in preda al terrore, a contatto con la malattia, in attesa di un responso sulla propria sorte. Un modo per misurarsi con gli altri e, soprattutto con sé. Una scelta di vita che, come assicurano i volontari Arvas “ti apre al mondo e ti introduce in una rete di solidarietà”.

 

 

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